Le foto di Domon Ken in mostra a Roma

domon ken

Domon  Ken. Il Maestro del realismo giapponese è stata inaugurata lo scorso 27 maggio all’Ara Pacis di Roma: si tratta di una mostra monografica dedicata al fotografo giapponese Domon Ken. L’esposizione resterà aperta fino al 18 settembre e raccoglie scatti a colori e in bianco e nero realizzati tra il 1920 e il 1970.

Nato a Sakata, nel nord del Giappone, Domon Ken (morto nel 1990, 81enne) è considerato uno dei massimi esponenti del realismo sociale, corrente di ispirazione marxista al quale aderì anche perché più gradita al governo e meno ostacolata.

L’evento è stato pensato in relazione alla celebrazione del 150° anniversario del primo Trattato di Amicizia e Commercio, firmato il 25 agosto 1866, tra Italia e Giappone, che ha sancito l’inizio dei rapporti diplomatici tra i due Paesi. A questa esposizione seguiranno, nel corso dell’anno, altre mostre, spettacoli teatrali e di danza, concerti, rassegne di lettura, eventi dedicati ad architettura, fumetto e sport, e tutto per approfondire il mondo tecnologico e culturale del Giappone.

Domon  Ken. Il Maestro del realismo giapponese è promossa da Roma Capitale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con il supporto del Bunkacho – Agenzia per gli Affari Culturali del Giappone e della Japan Foundation, organizzata da MondoMostre Skira con Zètema Progetto Cultura.

La professoressa Rossella Menegazzo (docente di Storia dell’Arte dell’Asia Orientale all’Università degli Studi di Milano) e il Maestro Takeshi Fujimori (direttore artistico del Ken Domon Museum of Photography di Sakata, museo che ha collaborato alla realizzazione dell’esposizione) ne sono i curatori.

Nikon, marchio da sempre legato a Domon Ken e Fujifilm, che ha curato la stampa delle foto, sono sponsor della mostra.

Nell’allestimento romano trovano posto circa 150 fotografie di soggetti diversi, dai primi scatti di impostazione giornalistica, di propaganda e promozione del Paese, a quelli di ambito sociale, vissuti quasi come dovere umanitario: Domon Ken era iscritto al partito comunista e il suo impegno sociale e politico si riversa inevitabilmente anche nella sua attività artistica, dunque con la sua fotografia realista voleva portare a galla le cicatrici profonde della società giapponese in frantumi.

Domon Ken ha raccontato il Giappone dagli anni Venti agli anni Settanta attraverso la sua fotografia: dall’ante guerra al dopoguerra, i suoi scatti raccontano un Paese affascinante, ma anche in crisi. La comunicazione visiva si carica di un ventaglio di sentimenti ampio e ricco: c’è spazio per la rabbia, per la gioia, per la tristezza, per la miseria, per l’abbandono, per la bellezza, per la rinascita.

Takeshi Fujimori, co-curatore della mostra nonché allievo di Domon Ken, ha ricordato il suo Maestro come un uomo di poche parole, non a caso soprannominato “il diavolo della fotografia“, perché non apriva mai bocca e carpirgli i più intimi pensieri era quasi impossibile. Altro soprannome che gli fu dato fu “Domodigliani“,  in riferimento alla sua passione per il pittore italiano.

Domon Ken: le sezioni della mostra

La sezione “Bambini” raccoglie scatti realizzati in diverse aree del Giappone, in particolare i quartieri bassi di Tokyo, Ginza, Shinbashi, Nagoya, Osaka e quelli della sua infanzia. Se questa scelta rimanda ad un sentimento nostalgico legato alla fanciullezza, di altra natura sono le foto con cui denunciò le condizioni di vita nei villaggi nelle zone minerarie di Chikuhō nell’isola di Kyūshū. La povertà, la miseria, l’abbandono, la denutrizione: questi mali vengono portati all’attenzione del mondo attraverso gli occhi dei bambini. Da parte del fotografo c’è sicuramente lo sguardo socialmente impegnato di una fotografia realista di stampo socialista.

Hiroshima”, raccolta di foto del 1958, dunque pubblicata a distanza di oltre dieci anni dallo sgancio dell’atomica sulla città, raccoglie foto molto forti: orribili mutilazioni, luoghi distrutti, ospedali affollati, malati in fin di vita, famiglie costrette a fare i conti con la morte dei loro cari. Quello che Domon Ken va a documentare è la realtà nella sua essenza più cruda e più drammaticamente concreta.

Ritratti” (Fūbō) è una sezione che raccoglie fotografie di personaggi pubblici giapponesi del mondo della scienza, dello spettacolo, della letteratura, dell’arte.

Infine un’altra consistente parte della mostra è “Pellegrinaggio ai Templi Antichi”, raccolta di immagini di sculture e architetture buddhiste: la prof.ssa Menegazzo ricorda come Domon avesse la capacità di restare ad osservare una statua anche per ore, fino allo stremo, prima di iniziare a fotografare.

Roberto Vecchioni racconta la felicità

roberto vecchioni

Si intitola La vita che si ama. Storie di felicità ed è il nuovo libro autobiografico di Roberto Vecchioni, edito da Einaudi. Ma chiamarla autobiografia è riduttivo, perché la propria vita è solo il “pretesto” per un racconto ben più ampio, che ruota attorno ad un unico tema centrale e che ha un messaggio preciso da condividere.

Fulcro di queste 168 pagine, in cui si attraversano esperienze di vita molto diverse, ma normali e quotidiane  (la nascita dei figli, la professione di insegnante, il ruolo di padre, l’amore) è la felicità: la sua ricerca, il suo mascherarsi e svelarsi, nascondersi e farsi acchiappare, per poi scivolare ancora via e nuovamente tornare. E in questo nascondino, in questa giostra, che è poi la vita, la verità è che la felicità non va mai via davvero, è sempre lì ad un passo, sono i nostri occhi ad essere spesso ciechi e a non vederla.

Questo è il messaggio che il professore vuole lanciare: afferrare la felicità non è poi così difficile, perché in verità è una presenza costante e non una sequenza di istanti da riconoscere. Sta a noi essere padroni del tempo e consapevoli della sua esistenza perenne.

La vita che si ama è un libro intimo, una sorta di manuale costruito sotto forma di racconti, che Roberto Vecchioni indirizza ai suoi quattro figli (Arrigo, Carolina, Edoardo e Francesca): per marcare questa dimensione filiale all’interno sono stati inseriti  anche i testi delle 8 canzoni scritte per loro.

Ma  nel libro trovano spazio anche altre persone fondamentali nel percorso di artista e in particolar modo di uomo di Roberto Vecchioni, come i genitori Eva ed Aldo e la compagna (scrittrice) Dario Colombo.

La vita che si ama è un ottimistico prontuario di vita che attinge alle esperienze di vita, ma anche all’immenso bagaglio culturale di Roberto Vecchioni. Nel testo non mancano rimandi letterari e citazioni, sempre velati e mai ostentati: a Paolo e Francesca, al mito di Orfeo ed Euridice, a Saffo ed Epicuro.

In riferimento al filosofo greco scrive:

Mentiva Epicuro. Non si è felici nell’imperturbabilità, ma nell’attraversamento del vento e della tempesta. Quando non c’è tocca immaginarla. Non è facile, perché bisogna impararlo, questo immaginare, e quando è giusto e quando è troppo e quando il cuore a metà del mosaico perde un pezzo e rinuncia, o dal castello cade una carta e si deve ricominciare tutto da capo. Immaginare è una scienza, non un percorso a casaccio, non un frullare utopie, è prevenire il possibile e intuirne la bellezza futura come fosse già lì, viva, un segreto svelato. Lei, la felicità, non ha trucchi né inganni, corre là parallela a noi nel bosco e s’intravede (o si sente, perché canta)

Quella che racconta Roberto Vecchioni è una felicità pura e vera nella sua essenza, differente dalla serenità, definita “un’imitazione scadente, una polvere aerea, un effetto placebo che confina pericolosamente con la noia” e diversa pure dall’euforia, “la grande ingannatrice”.

La felicità, invece, non mente e ci cammina accanto, vuol dirci l’autore. È un messaggio di speranza rivolto soprattutto ai giovani, a quei ragazzi con cui ha condiviso molto più di un’esperienza scolastica. Roberto Vecchioni è sempre stato sensibile verso le nuove generazioni, ha sempre cercato di essere trasversale e di parlare anche a loro, sia in qualità di professore che di cantautore: perché i giovani sono il futuro e rappresentano una risorsa su cui investire, in cui credere, da considerare e aiutare, come ha più volte ribadito.

Roberto Vecchioni in tour

Il libro La vita che si ama dà il titolo anche al tour di Roberto Vecchioni: il cantautore nella sua carriera vanta i quattro premi più importanti in Italia  (Premio Tenco nel 1983, Festivalbar nel 1992, Festival di Sanremo e il Premio Mia Martini nel 2011). Il tour partirà il 21 giugno alla Assago Summer Arena in occasione della Giornata della Musica e per la manifestazione Street Music Art.


La vita che si ama
 Roberto Vecchioni 2016 I corallipp. 168

€ 16,50

ISBN 978880623075

Felicia Impastato: Rai1 ricorda Peppino

felicia impastato

Andrà in onda su Rai 1 martedì 10 maggio il film di Gianfranco Albano che, in occasione del 38esimo anniversario dell’assassinio per mano mafiosa di Peppino Impastato, ne ripercorre la storia dal punto di vista di un personaggio fondamentale: sua madre Felicia Impastato.

Scritto da Diego De Silva con Monica Zapelli (che ha firmato anche I cento passi), il film, prodotto da Metto Levi con RaiFiction, si intitola, appunto, Felicia Impastato, donna che con determinazione ha sempre cercato e fortemente voluto la verità per suo figlio. Nei panni della protagonista troviamo Lunetta Savino: nel cast con lei anche Carmelo Galati che interpreta Giovanni Impastato, il quale ha collaborato in prima persona alla realizzazione del film, che si concentra appunto su tutto ciò che è avvenuto dopo la morte del giovane, sulla battaglia portata avanti dai suoi cari in difesa dell’operato e della memoria di Peppino.

Peppino, giornalista e attivista di Cinisi (Palermo), morì  a soli 30 anni per mano mafiosa: era il 9 maggio del 1978, durante la campagna elettorale. Peppino era candidato nella lista di Democrazia Proletaria, per le comunali, ma non seppe mai i risultati di quelle votazioni: i tanti avvertimenti che aveva ricevuto nei giorni precedenti si concretizzarono in un attentato nel quale perse la vita.

Il giovane portava avanti, contro il volere di parte della sua famiglia (legata alle cosche criminali locali) un’attività politica e culturale antimafiosa, sia sul giornale da lui fondato, sia attraverso le attività dei gruppi comunisti sia sulla radio da lui fondata e finanziata. Nel programma Onda pazza ironizzava e si prendeva gioco dei mafiosi del posto ed era la trasmissione satirica più seguita. La sua radio libera cessò le trasmissioni dopo l’attentato, ma nel 2011 è rinata sotto forma dell’Associazione Radio Aut, in accordo col fratello Giovanni e i compagni di Peppino: l’associazione si ispira ovviamente ai valori antimafiosi e di legalità che furono di Peppino e porta avanti molteplici attività, grazie a volenterosi e appassionati giovani del posto.

lunetta savino_felicia impastato

È stato proprio grazie a Felicia Impastato che Peppino ha avuto giustizia, dopo anni di depistaggi e occhi volutamente chiusi: le autorità, subito dopo il ritrovamento del corpo straziato del giovane rifiutarono l’ipotesi dell’attentato mafioso. Il cadavere era adagiato sopra chili di tritolo: secondo gli inquirenti Peppino era rimasto ucciso dalla bomba con cui si accingeva a compiere un attentato sulla linea ferroviaria. La pista mafiosa per lungo tempo non fu vagliata, ma mai si arresero a quella interpretazione dei fatti gli amici, la madre e il fratello: grazie alla loro incessante attività la vera matrice del delitto fu individuata, l’inchiesta fu riaperta e finalmente conclusa nel 2001, quando i due imputati furono condannati (uno all’ergastolo e l’altro a 30 anni di reclusione).

Mio figlio non sopportava le ingiustizie”, “Mio figlio non era un terrorista”, “Io non voglio vendetta, voglio giustizia”, Felicia Impastato lo ha gridato per 23 anni, non si è mai arresa, mai fermata, mai scoraggiata. Si è opposta alla logica mafiosa e non si è mai piegata alle ingiustizie di quelle autorità che per anni hanno voltato le spalle alla verità, spinta solo dalla forza dell’amore. La via gliel’aveva mostrata suo figlio, lei ha solo portato avanti il suo messaggio, avendolo capito fino in fondo, un messaggio di coraggio, libertà, giustizia.

Nelle poche interviste rilasciate in questi anni Felicia Impastato si è sempre mostrata forte e determinata, e tale viene ricordata anche da chi la conosceva bene: mai una lacrima, mai un momento di debolezza, per lo meno in pubblico, salvo poi farsi del male quando era sola nella sua stanza dove, dinanzi alla foto di Peppino, si riempiva la testa di pugni fino a coprirsi di lividi e stordirsi, come si legge anche nel saggio di Giacomo Di Girolamo “Dormono sulla collina”. Ad 80 anni ha trovato al forza di testimoniare in tribunale e puntare il dito contro i colpevoli della morte del figlio, dopo tante battaglie: è riuscita a vedere gli assassini condannati e si è sempre detta orgogliosa di quel figlio che tanto amava, che aveva cercato di mettere in guardia quando era in vita e che ha continuato a difendere anche da morto.

Felicia Impastato e le donne-coraggio di Lunetta Savino

Lunetta Savino, prolifica attrice per il cinema, la televisione e il teatro, non è nuova a ruoli di questo tipo: proprio con il regista Gianfranco Albano aveva già interpretato una donna-coraggio, la signora Lucia, nel film che raccontava la storia vera di Fulvio Frisone e della sua famiglia. E ancora, nel 2008 ha vinto il Premio Flaiano come Miglior attrice tv per il ruolo di Silvana Fucito nel film Il coraggio di Angela, in cui vestiva i panni dell’imprenditrice napoletana impegnata nella lotta alla camorra. Altro ruolo importante di mamma, anche questo decisivo per il Premio Flaiano del 2015, quello di Vincenzina Mennea, nella miniserie Rai dedicata all’atleta olimpionico Pietro Mennea.

 

 Nato nella terra dei vespri e degli aranci, tra Cinisi e Palermo parlava alla sua radio,
 negli occhi si leggeva la voglia di cambiare, la voglia di giustizia che lo portò a lottare,
 aveva un cognome ingombrante e rispettato, di certo in quell’ambiente da lui poco onorato,
 si sa dove si nasce ma non come si muore e non se un ideale ti porterà dolore.

(I cento passi, Modena City Ramblers)

 

Barbie the Icon in mostra al Vittoriano

barbie the icon

Barbie the Icon, dopo aver conquistato grandi e piccini a Milano, al MUDEC – Museo delle Culture, è ora approdata a Roma, presso il Complesso del Vittoriano – Ala Brasini: la mostra resterà aperta al pubblico fino al 30 ottobre.

Bocche spalancate, occhi sognanti, ricordi che affiorano e la testa che inevitabilmente vola indietro nel tempo, perché quello che la mostra propone non è solo un’esposizione di famosissime bambole, ma un vero e proprio percorso temporale, che inizia quasi sessant’anni fa e che si snocciola sino ai giorni nostri.

La grandezza di Barbie è proprio questa: quella di non essere semplicemente sopravvissuta nel tempo, ma di essersi allineata ad esso, ai suoi cambiamenti, alle sue trasformazioni, ai suoi eventi cardine, immergendosi nella grande storia al punto da arrivare a rappresentarla visivamente.

Attraverso i vari modelli di Barbie esposti si racconta la storia della donna, la storia del cinema, la storia della moda: il fatto che Barbie sia un’icona intramontabile da 56 anni a questa parte affonda le sue radici in questo suo essere stata interprete del tempo, specchio dell’identità globale, abbattendo barriere linguistiche, sociali, antropologiche.

Non è una semplice bambola, non un qualunque giocattolo: è un fenomeno estetico, culturale e sociologico, al punto da ispirare la realizzazione della mostra Barbie the Icon, curata da Massimiliano Capella e prodotta da Arthemisia Group e 24 Ore Cultura – Gruppo 24 Ore in collaborazione con Mattel.

Barbie ha fatto la sua comparsa il 9 marzo 1959 alla Toy Fair newyorkese: viene introdotta in Europa nel 1961 e in Italia nel 1964. Il suo successo è immediato.

barbie the icon

Dalla sua apparizione ad oggi Barbie ha rappresentato oltre 50 nazionalità diverse e svolto le più disparate professioni: l’abbiamo vista nei panni della maestra, della ballerina, del dottore, della veterinaria, della chef, della giornalista; è stata una rockstar, si è candidata alle elezioni presidenziali, è stata ambasciatrice Unicef, si è cimentata col nuoto, col tennis, col calcio, col pattinaggio.

E non è tutto: ha vestito i panni di Cleopatra, Elisabetta I, Grace Kelly, per citare solo tre delle icone culturali che ha incarnato. Inoltre traendo ispirazione da Hollywood e dallo star system, si è anche identificata in Liz Taylor, Marilyn Monroe e Audrey Hepburn, tra le tante. A lei sono stati dedicati abiti da parte dei più importanti stilisti e fashion designer del mondo: Versace, Moschino, Calvin Klein, Prada, Givenchy, Gucci, Dior, Lauboutin.

E proprio verso la moda c’è stata sempre una grande attenzione da parte dei suoi creatori: osservando l’esposizione è evidentissimo il cambiamento di stile nei decenni. Non va sottovalutato, in fondo, che il suo successo si lega da subito alla possibilità di comprare separatamente i diversi outfits creati ogni anno per il suo guardaroba, lasciando alle bambine la libertà di creare nuovi look sempre diversi.

Ed è inoltre interessante notare i molteplici legami con gli eventi dell’attualità, che sicuramente hanno contribuito a radicare Barbie nell’immaginario collettivo e ad accrescere l’affetto e la fiducia nei suoi confronti, quasi fosse un membro della famiglia.

barbie the icon

Barbie the Icon: struttura della mostra

  1. La prima sezione della mostra, Da Teenage Fashion Model Doll a Fashionista. Una bambola di moda, è appunto dedicata alla moda e raccoglie alcune delle creazioni sfoggiate da Barbie al passo con le tendenze del vari momenti storici e con le trasformazioni culturali della società occidentale. Alcune sono così attualizzate da rappresentare un vero e proprio campionario in miniatura dell’evoluzione della moda e degli stili nei decenni. Ad esempio, nel 1982 la Mattel propone Fashion Jeans Barbie, mettendo dunque al centro il primo capo d’abbigliamento globalizzato e unisex, osannato da star del calibro di Marlon Brando, Elvis, James Dean.
  2. La seconda sezione di Barbie the Icon concentra lo sguardo sulle oltre 150 professioni ricoperte da Barbie nei suoi 56 anni di vita: I Can Be. Barbie Careers esalta proprio quello che è sempre stato il motto di Barbie: You Can Be Anything. Negli anni ’60, ispirandosi alla prima astronauta donna, la russa Valentina Tereshkova, Barbie celebra il programma spaziale e dà alle sue giovani fan un messaggio importantissimo: non esiste carriera alla quale non possano aspirare.
  3. La terza sezione di Barbie the Icon, intitolata Barbie Family, presenta non solo la famiglia e gli amici di Barbie, ma anche il suo life style attraverso case, macchine e accessori vari. La grande famiglia di Barbie comprende cinque sorelle, un fratello, due cugine, lo storico fidanzato Ken, tanti amici e animali domestici.
  4. La quarta sezione dell’esposizione, Barbie in viaggio. Dolls of the World, rende onore all’attenzione verso le diverse culture del mondo: vi si trovano esposte le Barbie vestite con i costumi tradizionali di diversi Paesi, i modelli prodotti per celebrare importanti momenti della storia contemporanea, come la fine della Guerra Fredda o la caduta del Muro di Berlino (Barbie Freundschafts =Amicizia)
  5. La quinta e ultima sezione di Barbie the Icon, Barbie Divas, racconta come nel tempo Barbie si sia identificata e confrontata con molte delle eroine dei suoi tempi, donne leggendarie divenute icone. Tra il 1961 e il 1963, ad esempio, sulla scia del successo di Colazione da Tiffany, anche nel guardaroba di Barbie impazza il “black dress code” di Audrey Hepburn. Ma Barbie è stata anche Cleopatra, Elisabetta I, Marilyn Monroe.

Barbie the Icon: alcuni modelli esposti

Trovano spazio nella mostra Barbie the Icon ben 380 esemplari, a partire dalla celeberrima Barbie in costume da bagno zebrato del 1959, la prima versione di Teen Age Fashion Model, con tacchi alti neri, occhiali da sole, orecchini e coda di cavallo (modello Ponytail).

E ancora Barbie Superstar del 1977, creata da Joyce Clark ispirandosi all’attrice americana Farrah Fawcett, protagonista del serial televisivo Charlie’s Angels: la bambola indossa un luccicante abito in satin rosa shocking, con un boa di lamè. Poi ci sono le Barbie Grease Dolls, create per celebrare le Pink Ladies dell’omonimo musical: Barbie come Sandy (2004) e come Rizzo (2008).

C’è la Supersize Barbie Doll del 1977, le prime due Barbie etniche (Black Barbie e Hispanic Barbie), Barbie con l’outfit Evening Splendour (1959, Collectors edition), Barbie modello Bubblecut (1962) con il suo caschetto vaporoso, Barbie modello Malibu (1971), massima espressione dello stile californiano, fino ad arrivare alla serie Barbie Fashionista, con i modelli Curby-Tall-Petit (che riproducono le diverse corporature femminili) e le Wedding Dolls della coppia reale inglese William e Kate.

Barbie è sempre stata il simbolo della donna che può scegliere. Persino durante i suoi primi anni, Barbie non ha dovuto accontentarsi di essere semplicemente la ragazza di Ken o una accanita amante dello shopping. Barbie disponeva degli abiti per intraprendere una carriera da infermiera, assistente di volo o cantante di nightclub. Ritengo che le scelte rappresentate da Barbie siano state determinanti per il successo iniziale riscosso, e non solo tra quelle figlie che un giorno sarebbero diventate parte della prima ondata significativa di donne manager e professioniste, ma anche tra le loro madri.

Ruth Handler

Caravaggio Experience a Roma

caravaggio experience

Non una semplice mostra, bensì una vera e propria esperienza sensoriale: ecco cos’è Caravaggio Experience. La vita e l’opera di Michelangelo Merisi vengono attraversate in un modo del tutto inedito, una fruizione che non passa solo attraverso la vista, ma anche attraverso l’olfatto e l’udito.

Caravaggio Experience resterà a disposizione degli spettatori fino al 3 luglio 2016,  presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma (Via Nazionale 194).

L’approccio del percorso espositivo è del tutto contemporaneo e si avvale di un sofisticato sistema di installazioni multi-proiezioni di grandi dimensioni (Infinity Dimensions Technology), unito a musiche originali di sottofondo (di Stefano Saletti) e fragranze olfattive persistenti nelle sale (realizzate da Officina Profumo – Farmaceutica di Santa Maria Novella).

Il piano sensoriale viene coinvolto a 360°: un’esperienza unica, fortemente immersiva e spettacolare. Il progetto oltre che di grande valenza estetica è forte anche sul piano del progetto culturale, che risulta ampio e capace di parlare a un pubblico ampio e differenziato, più e meno esperto. Ne viene fuori una grande possibilità di coinvolgimento e divulgazione, un approccio a metà tra il didattico e il tecnologico.

Sono 57 i capolavori dell’artista che scorrono su pannelli a cristalli liquidi LCOS alti 7-8 metri in modo continuo, nell’arco di circa 50 minuti, attraverso l’uso i 33 proiettori Canon XEED in alta definizione, con una risoluzione superiore al Full HD (1920×1200): le immagini risultato perfettamente nitide e cristalline, anche nei loro particolari infinitesimi, consentendo una visione nel dettaglio.

Cinque le aree tematiche di Caravaggio Experience: la luce, il naturalismo, la teatralità, la violenza, i luoghi più importanti della vita dell’artista, vissuto a Milano, Roma, Napoli, Malta, Venezia, Siracusa, Porto Ercole (dove morì nel 1610, a 39 anni).

La musica diversifica i vari ambiti, risultando molto più concitata nella sezione dedicata al tema della violenza, che si apre con la testa decapitata de La Medusa e forti tinte rosso sangue che si allargano lateralmente, sui pannelli e le pareti, ma anche a terra e verso l’alto. Le note fanno da accompagnamento, da cornice, amplificano le sensazioni e le emozioni.

Molta attenzione viene data ai primi piani, ai volti dei personaggi del Caravaggio, sempre curati e perfettamente delineati, espressivi e quasi dotati di vita propria. Il pittore organizzava dei veri e propri “set” per la realizzazione delle sue opere, per studiare alla perfezione le posizioni, i giochi di luce e ombre.

Proprio la luce è elemento fondamentale della produzione dell’artista, come si evince da capolavori come La vocazione di San Matteo o La crocifissione di San Pietro.

Il percorso termina con un pannello dedicato esclusivamente alla produzione del Merisi, su cui scorrono alcune delle sue opere principali: prendono vita nuovamente, tra gli altri, il Bacchino malato, Giuditta e Oloferne, la Madonna dei Pellegrini, Amor vincit omnia, Narciso

Dopo Roma Caravaggio Experience si sposterà a Napoli fino ai primi mesi del 2017, ma sono in corso di definizione altre date sia in Italia che all’estero.

Caravaggio experience: i biglietti

Intero € 12,50 – ridotto € 10,00
Sono previste agevolazioni, ingressi gratuiti, ingressi ridotti. Per info e visite guidate rivolgersi alla biglietteria del Palazzo delle Esposizioni.

Caravaggio experience: il racconto

https://www.youtube.com/watch?v=UQvZhhDs63w