La Direttrice Enrica Palmieri e l’Accademia Nazionale di Danza

La Direttrice Enrica Palmieri e l’Accademia Nazionale di Danza

Intervista condotta da Catia Di Gaetano

Incontriamo, con grande piacere, la Dott.ssa Enrica Palmieri recentemente confermata nel ruolo di Direttrice dell’Accademia Nazionale di Danza per il triennio 2020/2022

E’ nostro desiderio sottolineare il rigoroso profilo professionale della Dott.ssa Palmieri che ci ha concesso l’intervista solo dopo l’esito delle votazioni proprio per evitare una possibile sovraesposizione mediatica.

Buongiorno Direttrice e le porgiamo le nostre congratulazioni.

Tracciamo un breve profilo artistico della Dott.ssa Maria Enrica Palmieri:

danzatrice, coreografa, docente, coordinatrice della scuola di coreografia dell’Accademia Nazionale di Danza e, da gennaio 2017, Direttrice dell’AND

La Dott.ssa Palmieri è anche membro componente del CNAM (Consiglio Nazionale per l’Alta Formazione Artistica e Musicale) del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

Ha partecipato a numerosi Festival e tourneè in Italia e all’estero per poi trasferirsi negli USA a New York City, a Portland (Oregon), a S. Francisco (California) rientrando in Italia per dedicarsi alla creazione di coreografie che sono rappresentate in quasi tutti i paesi europei ed anche in Iraq, Mali e Capo Verde.

E’ la rappresentante italiana alla XII edizione dell’International Course for Professional Choreographers & Composers a Guilford (GB).

Curatrice di numerose manifestazioni artistiche pone in evidenza il connubio della danza con le arti visive multimediali ed attua un percorso di integrazione delle tradizioni coreutiche delle Isole di Capoverde in un processo creativo di più ampio respiro e non racchiuso in una ristretta ottica di unica centralità nazionale.

La Direttrice Enrica Palmieri e l’Accademia Nazionale di Danza

Direttrice, questa rinnovata fiducia manifesta l’apprezzamento del lavoro da lei svolto nel precedente triennio e delle indicazioni contenute nel suo documento programmatico delle attività per il triennio 2020/2022; ci può dare un suo pensiero?

Ricordo che nel mio passato ho vissuto esperienze professionali e di vita anche in zone di guerra dove ho partecipato intensamente con azioni umanitarie, ho attraversato pericoli di ogni genere che mi hanno formato e fortificato nell’affrontare la realtà e le responsabilità, ritengo quindi di poter gestire anche l’Accademia Nazionale di Danza.

Le difficoltà indubbiamente ci sono però esiste sempre una soluzione che deve essere cercata, analizzata ed attuata per la migliore prosecuzione ed affermazione dell’AND; il tempo aiuta a derimere le nubi all’orizzonte e far cessare le azioni o gli atteggiamenti che ostacolano lo sviluppo che essa merita.

Direttrice, questo suo pensiero evidenzia una forza di carattere non comune perché superare questi momenti di riflessione con le proprie forze significa avere un carattere combattivo e che non si arrende; è certamente un atteggiamento positivo.

Spesso sono testarda e determinata, mi sono trovata in momenti molto difficili della vita, momenti che anche di notte non mi hanno consentito di dormire ed anche in questa realtà – inizialmente – ho percepito un senso di solitudine, non ho percepito la felicità e la condivisione dei programmi e del pericolo che incombeva sullo sviluppo futuro dell’Accademia; in tempo di guerra ci si unisce, ci si aggrega, qui ho invece avvertito la divisione. Per fare un paragone è come se avessi aperto la scatola di Aladino ma non è apparso il genio che ha aiutato a risolvere situazioni, anche stratificate nel tempo, le ha soltanto messe in luce.

E’ stato un allenamento emotivo e razionale, un alternarsi di paura e razionalità che induce quindi al ragionamento, che permette di creare i vari collegamenti tra fatti e situazioni, di capire dinamiche, di aver chiari alcuni contesti, di scoprire i vari perché, i quali non sono mai casuali; posso ben dire che si è trattato di un intenso allenamento.

Il primo anno è stato molto pesante poi l’ho colto come una ulteriore opportunità di crescita personale e collettiva. C’è una parola ricorrente nel mio programma di lavoro e che ho enfatizzato durante il mio discorso di presentazione quando ho parlato di Navigazione.

Durante un percorso si possono trovare dei porti, degli approdi ai quali si arriva perché spinti dalla tempesta, dal vento o da altri fenomeni ma proprio questi, che possono apparire situazioni negative, si tramutano in nuove opportunità, in nuove soluzioni.

L’Odissea, la Navigazione è un percorso non un arrivo.

Su questo ho riflettuto, non bisogna pensare solo in termini negativi alle difficoltà e agli incidenti di percorso poiché esistono anche le soluzioni; se io nel mio ruolo creo un approdo io creo – conseguentemente – nuove opportunità. Le difficoltà apparentemente rallentano il percorso ma questi “incidenti” consentono di accrescere e migliorare noi stessi e l’AND   

La Direttrice Enrica Palmieri e l’Accademia Nazionale di Danza

Sono pronta ad affrontare anche queste situazioni inaspettate; tutta la mia direzione è stata una riflessione per elaborare un piano di interventi e di programmi che ci portano lontano, mi sono interfacciata con tanti personaggi ed istituzioni con cui mi sono trovata a lavorare e questi incontri e opportunità si possono replicare all’infinito.

Il nostro pianeta è meraviglioso ed in costante mutamento e leggendo tutti i punti contenuti nel programma si potrebbe erroneamente concludere che sia impossibile attuarli e che io desideri “apparire”. Io sono al servizio dei colleghi e degli studenti, non ho alcun atteggiamento agonistico, il mio ruolo è quello di creare nuove opportunità attraverso la realizzazione di progetti

NO, ogni indicazione o decisione è frutto di approfondita riflessione e non vale l’antico concetto che… un progetto vale l’altro.

Ogni progetto ha un significato ed un obiettivo ben preciso, il numero dei progetti non mi deve spaventare ci deve spaventare perché ogni progetto racchiude in se un seme che deve germogliare e far realizzare una nuova opportunità.

Questo ragionamento lo faccio anche nei miei confronti perché mi gratifica così come gratifica l’AND, il corpo docente e gli studenti che hanno sempre vissuto nell’ambiente familiare un po’ serviti e riveriti però poi, quando è il momento di prendere iniziative autonome, potrebbero cadere se non avessi creato per loro un percorso di crescita.

Non li devo far cadere, non è questa la mia funzione; io li devo sostenere e quindi il mio ruolo consiste nel creargli opportunità che possono realizzarsi in Italia o all’estero, su tutto il territorio, con i teatri, con i municipi con tutte le realtà.  

La danza si può ben declinare all’interno di ogni realtà culturale. E’ chiaro che sarà loro compito proseguire e perseguire i loro obiettivi ma io non posso abbandonarli a se stessi.

Loro sono sostenuti nella formazione che comprende non solo la tecnica ma anche la conoscenza più in generale del mondo esterno all’Accademia Nazionale di Danza. Si troveranno ad affrontare tante battaglie ma questo è insito nella evoluzione del processo educativo. I progetti sono come il percorso formativo con i crediti. I progetti sono affini cioè sono una parte del percorso formativo educativo con i relativi crediti che sono necessari per la completa formazione del futuro Professionista.

Se vogliamo continuare su questo futuro la Danza è ora chiamata a fornire risposte di altro genere non solo quelle di abbellire esteticamente i vari programmi TV oppure di creare un prodotto fruibile in teatro se poi non contribuisce a risolvere problemi o tensioni sociali.

Abbiamo visto che con la danza si uniscono le persone, con la danza si possono scegliere tra i diversi linguaggio del corpo e, rispetto al linguaggio orale, benchè più universale e riconoscibile, è più facile con la danza creare solidarietà.

Quantunque il governo non abbia varato una politica di interventi strutturali per il settore danza io invece ho ricavato uno spazio ed un programma di opportunità da poter cogliere. Consideriamo, per esempio, che la danza è ecologica, non crea inquinamento, abbiamo in mano un’arte capace di adattarsi. La danza ha una sua missione che si adegua ai tempi che si stanno evolvendo, si plasma ai movimenti è in continuo divenire.

La Direttrice Enrica Palmieri e l’Accademia Nazionale di Danza

La danza ha la sua funzione.

A che scopo vivere, a che serve il tempo e le opportunità che la vita ci concede? Il trascorrere del tempo è un’opportunità perché ci permette di vedere cose che prima non si vedevano, l’arte della danza è stata sempre percepita come una professione di nicchia. L’arte è parte della cultura, l’arte è un prodotto umano, è un prodotto della cultura.

L’uomo ha bisogno della cultura per sopravvivere, in natura l’uomo è debole rispetto agli altri animali, la cultura e l’arte rappresentano invece la forza, sono la vita che necessita all’uomo.

La cultura nasce prima ancora della nascita della norma, del diritto; l’arte è la prima forma della cultura, è il primo atto creativo. Si può concettualmente assimilare alla cornice del famoso quadrato che se viene posizionato perpendicolarmente diventa una parete, se lo sposto in alto diventa un tetto, in pratica realizza una delimitazione del territorio.

L’arte è la vita.

 L’essere umano deve essere abituato e facilitato ad apprendere l’arte e senza l’arte l’uomo non può vivere.  L’uomo dovrebbe sempre avere la possibilità di coltivarla anche se poi si inserisce in un percorso lavorativo dove l’arte è esclusa ma dovrebbe sempre conservarne il Segreto.

L’arte è universale.

Direttrice, nel suo programma elettorale o di lavoro che aveva proposto al mondo dell’AND vi è il concetto della democrazia che coinvolge l’intera struttura e, in modo particolare, il concetto dell’internazionalizzazione. Ci può dare maggiori indicazioni?

Io la democrazia la intendo come concetto di RESPONSABILITA’. La democrazia potrebbe essere facilmente confusa con il concetto di populismo o anche per la capacità di saper creare un consenso. Voglio che le scuole, le strutture didattiche siano responsabili del progetto che deve legarsi alle finalità dell’Accademia, esse devono muoversi in direzione univoca e conforme alla funzione che esplicano. Nel mio caso il concetto di Responsabilità implica anche risvolti di tipo legale e penale connesse al mio ruolo.

Nel caso dei docenti la considero una responsabilità individuale, il ruolo del docente necessita di una forte deontologia professionale. Mi piace la trasparenza e la lealtà, mi piace vedere che gli studenti sanno, per esempio, orientarsi mediante indicazioni chiare senza che debbano vagare a chiedere e cercare. Allora che cosa significa comunicazione chiara? Questa chiarezza, anche nelle indicazioni, consente di trovare agevolmente ciò che è di personale interesse anche se si è un neofita; ci si rende conto che si è all’interno di un sistema, di conoscerlo, si sa dove andare, come muoversi e quindi non si rimane escluso.  Se esiste un sistema verticale e centralizzato che non è user friendly, è difficoltosa la sua consultazione; il sito deve essere chiaro, trasparente e fornire ogni indicazione. Ogni struttura didattica ha corsi particolari con diverse finalità e non si può seguire tutto, bisogna saper scegliere. Quell’atto di scegliere è quello che ci contraddistingue, si deve effettuare una scelta consapevole, si deve portare avanti il proprio obiettivo con consapevolezza.

La Direttrice Enrica Palmieri e l’Accademia Nazionale di Danza

Direi che il suo programma di lavoro è stato compreso e sono state messe in atto le sue indicazioni.

Io non ho fatto promesse particolari a nessuno, tutti si sono responsabilizzati e tutti hanno afferrato le indicazioni fornite malgrado – inizialmente – ci siano state anche difficoltà di comunicazione tra me ed i colleghi i quali si sono trovati investiti di molte responsabilità. In alcuni momenti c’è stato anche qualche attrito su cui ho meditato.

 Se i miei programmi, le mie azioni sono rapidi e dinamici non posso pretendere che siano seguiti da tutti però è anche vero che è meglio rischiare un attrito interno piuttosto che tornare a situazioni precedenti dove nessuno sceglieva, dove nessuno si responsabilizzava. Ci sono stati anche momenti dove mi sono sentita esclusa in quanto, nel mio ruolo di Direttore, dovevo fermare un piano artistico che magari non avevo avuto modo di condividere nella discussione con gli altri. Tuttavia ho preferito correre questo rischio piuttosto che tornare a “prima” dove c’era imposizione oppure consuetudine perché la consuetudine genera vizi; preferisco invece che ogni attività, ogni pratica sia ragionata, sia condivisa e ci sia la convinzione che quella pratica non è una semplice formalità ma è sostanza dell’azione.

 La nostra fondatrice è stata una innovatrice, ha praticamente creato l’Accademia dal nulla, l’AND è nata come una costola della Regia Scuola di Arte Drammatica, ha fatto molto bene in quel periodo storico ma quella eredità non dobbiamo, non possiamo mantenerla immutata sino ai giorni nostri. Non possiamo soltanto continuare a gestire un’eredità e sopravvivere di rendita. Oggi dobbiamo ampliare il nostro sguardo oltre un corto raggio ma non esporsi a rischi finanziari, dobbiamo investire con cautela e lungimiranza.

Direttrice, in un suo punto del programma di lavoro lei accennava a un percorso più legato alle istituzioni, può ampliare questo punto?

Assolutamente SI, noi siamo unici ma non possiamo rimanere nella nostra unicità o solitudine La solitudine è una condanna a rimanere soli, noi dobbiamo invece interagire con istituzioni a noi affini e mi riferisco a Campobasso, Benevento, Roma parlando di Conservatori e Napoli, Ravenna e Torino come Accademie.  Li ho inclusi nei miei progetti di collaborazione e devo dire che i colleghi delle altre istituzioni mi hanno supportato, ci siamo supportati, c’è stata una condivisione di progetti.

La Danza potrebbe rappresentare una Istituzione all’estero dove ho lavorato lungamente con molti compositori. Posso affermare che le creazioni più belle che hanno realizzato questi compositori per la danza le hanno realizzate grazie alla danza che gli ha creato una logica e soprattutto gli ha fatto scoprire delle tematiche a loro prima estranee; la danza gli ha permesso di fare ricerca e quelli che non si sono legati alla danza non ne hanno tratto vantaggio perché non si sono abbandonati alla danza, non sono stati contaminati dalla danza… sono rimasti “sospesi”.

 Direttrice, l’internazionalizzazione è un concetto a cui lei tiene in modo particolare, questa internazionalizzazione può essere legata anche al supporto che fornisce la Cuomo Foundation?

Assolutamente SI

La Cuomo Foundation ha come slogan “L’arte dell’educazione è l’educazione del cuore”.  E’ un assioma chiaro che non lascia dubbi circa la Mission che si è data. Ho avuto anche altri contatti con altre fondazioni private di grandissimo livello ma ho verificato che questa Fondazione sa fare le cose con stile, con qualità ed amore. Madame Cuomo mi assomiglia, è pragmatica ed anche lei lotta per raggiungere gli obiettivi. Ha il senso del bello e dell’arte, la capacità di perseguire i sogni come me e, come me, non intende far rimanere i sogni nel cassetto. Ho avuto l’opportunità di visitare il loro centro cardio pediatrico a Dakar mentre ero impegnata in un altro progetto che non vedeva la presenza della Cuomo Foundation e questo centro cardio pediatrico è stato realizzato a misura di bambino e a misura di mamma. Quando sono arrivata era in corso una sessione di musicoterapia per i bambini piccoli, per i più grandi e con le mamme. Possiede macchinari ad altissima tecnologia, un centro di ricerca all’avanguardia. La Cuomo Foundation è una organizzazione privata che fa investimenti, è attenta alla propria visibilità ma la sua missione è anche rivolta all’Arte. Madame Cuomo è sensibile alla crescita dei giovani ed infatti i suoi collaboratori sono prevalentemente giovani professionisti di grande qualità. Altrettanta sensibilità la rivolge alla crescita dei giovani artisti.

La Direttrice Enrica Palmieri e l’Accademia Nazionale di Danza

Si è interessata ai miei programmi di sviluppo dei giovani artisti per i quali voglio creare alleanze, creare opportunità. Al Premio Roma la giuria è costituita da coreografi, critici, da organizzatori di festival, proprio con l’intento non finalizzato solo a corrispondere premi in denaro ma – principalmente – offrire connessioni, legami che possano generare contatti e accordi ed avere una continuità futura.

Madame Cuomo ha sposato pienamente le finalità del progetto per far emergere le qualità dei giovani ma non necessariamente emergere significa essere “il primo in assoluto” però consente di cambiare la propria esistenza. Certamente un artista senza un pubblico a cui parlare rimane racchiuso in se stesso, non riesce ad esprimersi quindi il fatto di vivere il Premio Roma consente di trasmettere le proprie sensazioni; tutto ciò rientra nella Mission della Cuomo Foundation. Diciamo che Dio mi ha mandato le persone giuste al momento giusto. Anche Madame Cuomo ama le cose belle che racchiudono anche un valore filantropico e senso di umanità. Ci piace pensare all’umanità, abbiamo sogni che si devono realizzare, non siamo missionari quindi tutto quello che attiene i nostri specifici credo, ai nostri valori religiosi, sono messi da parte.

Madame Cuomo ha perfettamente compreso che la sua sponsorizzazione del Premio Roma, come possibilità offerta ai giovani, costituisce la realizzazione di alleanze e connessioni di alto profilo artistico.

Aggiungo che la Cuomo Foundation sarà con me al Padiglione Italia a Dubai perché il Padiglione Italia che presenterà il Premio Roma sarà incentrato sulla bellezza

La Direttrice Enrica Palmieri e l’Accademia Nazionale di Danza

Direttrice è evidente che questa sua impostazione riguardo al futuro dell’Accademia naturalmente necessità di un corpo docenti e di una struttura alle spalle che condivida pienamente i programmi. Concorda su questa affermazione?

Ritengo sia assolutamente opportuno che non vengano creati ostacoli alla visione del futuro dell’AND, che non ci si opponga a questo tipo di esperienze. Indubbiamente non è semplice e ci sono detrattori, non tutti sono dalla mia parte.

Si può anche ignorare il consenso rispetto a questo tipo di difficoltà ma i programmi non sono una novità, sono una continuazione di quanto già programmato e svolto. Mi si può anche contrastare ma si deve prendere atto che l’Accademia vuole andare in questa direzione così come espresso dalla maggioranza la quale potrebbe eccepire il mio mancato rispetto dei programmi stabiliti; ho anche una responsabilità nei confronti della maggioranza.

Io sono tenuta a rispondere del mio programma elettorale, l’ho sempre seguito e ogni volta verificavo se mi stavo muovendo verso quella direzione stabilita.

Direttrice il suo programma di lavoro elettorale per il prossimo triennio va a confermare o integrare i famosi 7 punti contenuti nel precedente programma?

Migliorare SI:  la comunicazione, l’ascolto ed ampliare il processo di internazionalizzazione Quest’anno abbiamo accordi con quattro paesi extraeuropei su cui dobbiamo lavorare per tre anni, adesso mi accingo a realizzare un altro progetto con altri tre partner europei. Se questi progetti saranno approvati avremo ben sette opportunità per l’Accademia Nazionale di Danza.

Ci sono tanti altri progetti con l’obiettivo “Europa” per i quali l’AND corre veloce nella internazionalizzazione. Sottolineo, come già detto, che è una prosecuzione di quanto già posto in essere, nessuna novità. 

Direttrice, non c’è stato nulla di quei 7 punti che ha incontrato maggiori ostacoli al suo conseguimento?

Nessuno per me era sbagliato ma una cosa non sono riuscita ancora a concludere ma non perché non l’abbia voluta realizzare. Ci ho lavorato due anni e mezzo e molto probabilmente riusciamo a farcela; mi riferisco al decentramento dell’Accademia.

Pur lavorandoci intensamente mi è apparso poi chiaro che il MIUR non mi avrebbe concesso i necessari finanziamenti e quindi, non volendo agire sulla leva economica riguardante la retta degli studenti, ho condotto un altro tipo di politica e cioè sono stata inclusa all’interno di un vasto ed articolato progetto che – se riceve le approvazioni – è il preludio del decentramento. Con ciò intendo costituire corsi esterni all’Accademia, in altri qualificati siti; l’Accademia è unica e prestigiosa e noi dobbiamo rispondere alle aspettative e richieste di iscrizione che sono molto numerose. Vivere a Roma e frequentare l’AND impone un esborso economico a dir poco significativo. Per ottenere il decentramento perseguo una politica di alleanze e non di aggressività.

Ovviamente non è realizzabile in tempi brevi ma con il decentramento creiamo servizi e proposte per il territorio, mostriamo così di avere una visione lungimirante, l’Accademia Nazionale di Danza si apre verso l’esterno anziché rimanere confinata nella sua unicità.

La Direttrice Enrica Palmieri e l’Accademia Nazionale di Danza

mde

 Direttrice le vorremmo proporre una riflessione forse “politica” circa la mancanza di offerta formativa coreutica nelle scuole, quale è il suo pensiero?

 L’Arte coreutica non è stata mai inserita nel processo culturale. Se io vado a leggere la storia dell’Italia è pur vero che la danza nasce in Italia ma non è stata mai inserita nel processo di crescita culturale; la cultura italiana – di fatto – non è legata alla danza. È una semplice questione numerica. Mi spiego: quanti danzatori hanno contato nel mondo del lavoro? Ben pochi. Nelle scuole si conducono processi di acculturazione, di identità. Se dovessi pensare a personaggi famosi penso a Verdi a Michelangelo a Leonardo, dico quindi che necessita sviluppare un processo culturale sin dalle elementari, che la danza possa essere inclusa ma non a scapito della matematica, dell’italiano o di altre attività utili proprio per diventare “persona”. La danza deve affiancarsi e con le stesse attenzioni che vengono rivolte ad altri tipi di attività. Lo sport è utile, lo sport crea spirito comune cosa invece che la danza non crea, lo può creare se utilizzata in un certo modo ma è molto individualistica, crea un lavoro sull’ individuo, sul proprio corpo. Il calcio, dove ognuno ha un ruolo definito, rappresenta il gioco di squadra. Quando si mette in scena un balletto abbiamo il primo ballerino e il corpo di ballo e si crea così la squadra dove il gruppo rappresenta la cornice ed il primo ballerino esegue la prestazione artistica eccellente. La danza non è soltanto una esplosione di energie, che comunque avviene, ma è una esaltazione dell’anima, da una lezione di danza si esce sfinite ma contente, la danza è un sentimento molto personale.

Tornando alla sua precedente domanda relativa alla offerta formativa coreutica nelle scuole aggiungo che la nostra cultura si fonda sullo scritto, non c’è nulla che non passi attraverso uno scritto che esso stesso è un linguaggio; la musica è scritta, tutto è codificato. Da ciò è facile intuire il perché in Africa la danza rappresenta la storia dell’uomo, della tribù. La storia della tribù è tramandata attraverso la danza, che non è fondata sullo scritto. Ci sono danze che vengono rappresentate ogni 70 anni e i danzatori indossano dei copricapo alti 4 mt. con i quali eseguono movimenti molto difficili. I movimenti dei danzatori esprimono valori spirituali o legami tra le comunità: matrimoni, accordi tra le tribù ecc. e dai movimenti ed intrecci dei danzatori ne scaturisce un presagio.

Nulla è scritto, la storia è tramandata per via orale, la danza è l’unico strumento, è un linguaggio comune, crea identità culturale.

 Direttrice lei è chiamata ad altri impegni, cosa può dire a tutti coloro che “fanno danza”?

Di non dimenticare la propria libertà; la danza deve istruire alla libertà che non è una cosa dovuta. E’ la libertà di scelta ma con consapevolezza. Il messaggio più importante che io lancio è utilizzare pienamente questa libertà, farla divenire una sorta di guida quotidiana. Deve venire “da dentro”, la danza non è una finalità ma uno strumento che rende capace di affrontare le avversità con lealtà con rigore e con chiarezza.

Grazie Direttrice.

PH Federica Maria Bianchi tratte dal sito AND per finalità divulgative e non commerciali

Andrea Lepone: Riflessioni in chiaroscuro

 

Andrea Lepone: Riflessioni in chiaroscuro

Recensione di Alberto Raffaelli

La poesia del ventiquattrenne Andrea Lepone è una meditazione sul “nostro” (“suo”, “universale” che dir si voglia) posto nel mondo. Sull’essere in cammino dal mattino alla sera, dal giorno alla notte: facile quindi individuare il motivo del titolo, ispirato da questo riflettere in chiaroscuro, nei diversi momenti del dì e del buio accompagnati dalle rispettive luci e ombre, com’è naturale e fisiologico che sia…

Ma quello che si evince da questa raccolta è anche un lavoro sul linguaggio, come nota Angelo Nardi nella sua “Prefazione” individuandone uno dei perni ispirativi nel differenziarsi “dal poetizzante tipicamente giovanile per porsi nel canone della poesia” (in base a una distinzione adatta per l’analisi creativa delle ultime generazioni).

Decenni di sperimentazioni e avanguardismi hanno condotto sempre più a considerare i confini e le qualità dello scrivere versi: anche Andrea Lepone s’inserisce in questa scia, raccontando pensieri, dubbi ed emozioni che infarciscono il suo cammino. Per forma e contenuto, “Riflessioni in chiaroscuro” è un esempio di disamina praticabile dalle persone sensibili su quella “somma forma di comunicazione” tra gli umani – la poesia, appunto –, che però oggi conserva la propria altezza in una maniera sommessa, sacrificata non solo nell’apparato mediale e sociale, ma spesso anche nelle gerarchie tra i generi.

Andrea Lepone: Riflessioni in chiaroscuro

Ma Andrea con le sue liriche intende dimostrare proprio come la poesia conservi uno straordinario potere di resistenza, una capacità di andare oltre la constatazione di uno scacco dell’esistenza e di intravedere qualcosa, bypassando le tentazioni del nichilismo. Si può invece progettare una salvezza e mirare a nuove sintesi (mentre quelle vecchie si sono rivelate illusorie), superando “la perversa dittatura dell’egocentrismo” che riduce gli individui a ruoli di “ribelli condannati”.

La parola in “Riflessioni in chiaroscuro” ha immagini potenti, dense, tra il simbolico che rinvia a grandi verità e l’immanenza del concreto. Molte ed eterogenee le influenze dichiarate dall’autore (Dylan Thomas, Montale, Bukowski), ripercosse su una scrittura “forte” e dagli accostamenti talvolta ermetici, ma che mantiene, se non una scorrevolezza, una certa “liquidità” d’impostazione: nei versi scorrono pensieri e immagini, ma sempre con una presenza di un io consapevole non troppo nascosto, che distanzia i componimenti di Andrea Lepone dal flusso di coscienza.

In definitiva questa raccolta comunica i risultati di una ricerca che nello scoprirsi ardua, difficoltosa, all’apparenza persino poco appagante, sembra raggiungere il proprio scopo nella conferma di uno degli assiomi più gratificanti del fare poesia/arte: la consapevolezza che quest’ultima è forse la maggiore opportunità posseduta dall’uomo per lasciare una traccia nella Storia.

Andrea Lepone: Riflessioni in chiaroscuro

La Macina Onlus Editore – Roma, 2018

Grazie ad Alberto Raffaelli per l’ottima recensione.

Il libro può essere ordinato direttamente all’editore con spese di spedizione gratuite o tramite le seguenti piattaforme on line:

https://www.ibs.it/riflessioni-in-chiaroscuro-libro-andrea-lepone/e/9788894261455

https://www.lafeltrinelli.it/libri/andrea-lepone/riflessioni-chiaroscuro/9788894261455

https://www.libreriauniversitaria.it/riflessioni-chiaroscuro-lepone-andrea-macina/libro/9788894261455

https://books.google.it/books/about/Riflessioni_in_chiaroscuro.html?id=_sg_vAEACAAJ&redir_esc=y

https://www.unilibro.it/libro/lepone-andrea/riflessioni-in-chiaroscuro/9788894261455

 

 

Giò Di Tonno intervistato da Catia Di Gaetano

 

Giò Di Tonno intervistato da Catia Di Gaetano

Ciò che contraddistingue Giò Di Tonno è l’umanità nel relazionarsi con il pubblico e la sua professionalità frutto dei lunghi anni di esperienze formative in tutti gli aspetti dello spettacolo.

Ne è la conferma l’intervista che ci ha rilasciato e che è condotta dalla nostra redattrice Catia Di Gaetano.

Veniamo al cuore dell’intervista:

Buongiorno Maestro e le siamo grati per averci concesso di dialogare insieme.

La sua biografia artistica è ricca di successi che condensiamo nell’allegato al nostro servizio; solo per fornire sintetiche indicazioni ricordiamo che Giò Di Tonno si è esibito con Lola Ponce, con Dionne Warwick ed ha partecipato al Concerto di Natale in Vaticano del 2017; dal 2002 e per 3 anni consecutivi ha interpretato la figura di Quasimodo nel recital Notre Dame De Paris.

Attraverso il nostro giornale La Macina Magazine abbiamo già avuto l’occasione di  apprezzare la sua iniziativa di creare il primo Laboratorio per cantautori che, all’epoca della fondazione, ha mostrato il coraggio di indicare il nuovo percorso verso il “teatro musicale” dove le due arti – canto e recitazione – interagiscono e si fondono armonicamente. Lei è poi approdato in TV dopo i successi conseguiti con i musical “Jekill & Hide”, “I Promessi Sposi”, “Oscuro e la Strega” ecc..

Maestro, quali sensazioni prova nel volgere lo sguardo verso un periodo ricco di soddisfazioni e di affermazioni professionali in relazione – invece – all’odierna realtà artistica e professionale ora che Notre Dame De Paris ha ormai consacrato la sua notorietà internazionale che è tanto più esaltante considerando che, in passato, “Il gobbo di Notre Dame” è stato interpretato da artisti del calibro di Antony Hopkins, Lon Chaney, Antony Quinn, Charles Laughton?

Guardo indietro e vedo un ragazzo motivato, che ha fatto tanti sacrifici e che si è posto traguardi sempre più formativi ed impegnativi per diventare ciò che ora sono. Sono nato talentuoso? 

Non lo so, forse, ma ho certamente percorso tutte le strade per accrescere il mio bagaglio artistico e per appagare umanamente il mio animo; esiste un sottile parallelismo tra la crescita artistica e la crescita musicale ed umana perché la musica dona questa possibilità. Vedo un giovane che non ha mai mollato e che si è cimentato in tutte le esperienze per migliorare. Ora, quando recito Notre Dame De Paris, sento che questo bagaglio formativo che ho acquisito nel tempo si manifesta naturalmente nella rappresentazione. Ho visto e studiato tutte le versioni ed interpretazioni precedenti della commedia ma, per questa edizione, bisognava rispettare lo spirito della versione originaria francese e le indicazioni del Maestro Riccardo Cocciante autore delle musiche; dal canto mio applico tutto ciò che le precedenti esperienze mi hanno insegnato. Ho amalgamato il tutto per interpretare il “mioQuasimodo che ancora oggi emoziona il pubblico.

Senza nulla togliere alla bravura degli altri artisti presenti in scena riteniamo che il personaggio di Quasimodo sia la figura centrale e l’essenza stessa della storia racchiusa magnificamente e tragicamente nell’ultima scena denominata “Il Matrimonio di Quasimodo“. Cosa ne pensa di questa affermazione?

Giò Di Tonno intervistato da Catia Di Gaetano

Giò Di Tonno intervistato da Catia Di Gaetano

Hai detto bene Catia, Notre Dame De Paris è una opera collettiva ed è proprio l’alto profilo artistico di tutti i singoli interpreti che la rendono magnifica; è una opera musicale, ha un cuore e trasmette sentimenti mediterranei, è arte collettiva. Il ricordo è anche legato alla figura di Esmeralda e – indubbiamente – la versione realizzata dalla Disney nel 1996 ha contribuito alla sua diffusione tra gli adolescenti che ora, da adulti, seguono con passione le versioni attuali. E’ vero Catia, l’ultima scena denominata “Il matrimonio di Quasimodo” dove lui accompagna la sua amata alla tomba e si lascia morire è una scena straziante, bella, pura, un vero e sincero amore che tocca il pubblico nel profondo dell’animo. Io sento una grande responsabilità e coinvolgimento nel rappresentare la figura principale, me ne faccio carico e cerco di trasferire al cuore del pubblico il dolore lacerante di Quasimodo.

Giò Di Tonno ha scritto un brano per Elhaida Dani magnifica interprete di Esmeralda; cosa ci può dire dell’intenso rapporto artistico con la protagonista e della sua incredibile qualità ed estensione vocale unita ad una non comune armonia scenica?

Giò Di Tonno intervistato da Catia Di Gaetano

Inizialmente temevo per l’assenza di Lola Ponce con la quale ho condiviso nel tempo sia precedenti versioni di Notre Dame De Paris che tante altre esperienze artistiche ma Elhaida, con la sua grandissima qualità vocale e presenza scenica, ha avuto il grande merito di inserirsi in punta di piedi in un cast già formato – e già questo rappresenta una grande difficoltà – l’esserci brillantemente riuscita evidenzia la sua eccellente professionalità. Ha lavorato con grande disciplina instaurando un ottimo rapporto con tutti, si è amalgamata perfettamente conquistando il suo spazio e si è creata il personaggio di Esmeralda, il “suo” personaggio.

Notre Dame De Paris è l’evento sempre più atteso dal pubblico che lo premia costantemente con sold out in tutte le repliche perché trasmette magia, emozioni, attese; cosa avverte quando è sul palco?

Avverto una sensazione di appagamento, di felicità e di gioia perché Notre Dame De Paris resiste al tempo, rappresenta sincerità di intenti, di amore che sono sensazioni difficili da ritrovare in altri contesti come per esempio i Social dove tutto è volatile per la natura stessa del mezzo di comunicazione; l’opera costituisce uno spazio che ci è necessario. Mi ritengo fortunato rappresentare nuovamente Notre Dame De Paris.

Non possiamo non sottolineare l’emozione, la passione e l’entusiasmo che Giò Di Tonno dedica al personaggio di Quasimodo; nella sua interpretazione, Maestro, è cambiato qualcosa nel corso del tempo? Lo ha interpretato in chiave diversa?

Beh, certamente tutte le mie esperienze artistiche accumulate nel corso degli anni mi hanno formato e quindi determinato la mia evoluzione professionale. Ricordo la mia irruenza interpretativa che rasentava l’incoscienza, tipica del giovane che si presenta al pubblico; negli anni e con l’intenso studio sono riuscito a misurare ed affinare la mimica, il canto e la presenza in scena che hanno reso più convincente ed appassionante la figura di Quasimodo.

Ci può parlare del suo incontro con Riccardo Cocciante, autore delle musiche di Notre Dame De Paris, e del sodalizio artistico che si è sviluppato e consolidato nel tempo?

Giò Di Tonno intervistato da Catia Di Gaetano

E’ un rapporto splendido basato sulla stima reciproca, Riccardo Cocciante si è “fidato” ed “affidato” a me e di questo gliene sono veramente grato. Ci siamo sempre confrontati in termini sereni e costruttivi, ho cercato di aderire alle sue richieste riguardo la vocalità al fine di rendere più credibile il “gobbo” che presenta una dura scorza esteriore ma un animo delicato come è la sua voce. Stimo così tanto Riccardo Cocciante tanto da annoverarlo tra gli autori più grandi ed “intimi” del nostro secolo

Ci può raccontare uno o più eventi significativi della sua carriera che più hanno inciso per la prosecuzione della stessa?

Sanremo 1994 !

Ero un ragazzo e facevo piano bar, mi esibivo con la mia piccola band, recitavo nei più modesti teatri e…all’improvviso mi trovo catapultato sul palco di Sanremo. Ero impreparato ad affrontare una così importante esperienza considerando anche che, al tempo, non esistevano contest che fornivano indicazioni e comunque ti preparavano per i grandi eventi. I ragazzi di oggi, con i talent, appaiono più preparati quantunque il livellamento tra i partecipanti rende molto più dura e selettiva l’affermazione. Dopo l’esperienza di Sanremo ho capito che dovevo dedicarmi allo studio con tutte le mie forze; ho studiato recitazione, canto e movimento scenico, mi sono quindi formato e recitato in molti teatri, mi sono dedicato alla pop music, alla TV accumulando molteplici esperienze. Amo questo mondo, è il mio mondo.

Veniamo ora all’ultima domanda dell’intervista.

Maestro, lei insegna canto, movimento scenico e trasmette ai suoi allievi ogni aspetto di ciò che è legato al musical; quale messaggio vuole dare ai giovani che intendono seguire questa arte?

Buona la prima!

Studiare il pop, la musica leggera che trasmette le nostre sensazioni, il nostro “io” dove forse è bastevole anche avere una buona predisposizione. Il teatro musicale è ben altro discorso e non si può affidare nulla al caso e non si può improvvisare perché l’attore è il veicolo delle emozioni altrui, egli rappresenta ciò che il pubblico sente nel proprio animo. Si deve lavorare e studiare tanto per affrontare questo mondo e studiare significa anche conoscersi profondamente per dare il massimo di se stessi al pubblico. In teatro è “buona la prima” e devi quindi essere sicuro sul palcoscenico. Ai giovani dico che l’emozione si combatte con l’esperienza e con il lavoro; l’esperienza ti emoziona ma non ti pietrifica.

Grazie Maestro per il tempo che ci ha dedicato e continueremo a seguirla ed essere suoi sinceri estimatori.

Grazie a voi Catia.

BIO GIO’ DI TONNO

 

Si ringrazia per la preziosa collaborazione:

Giò Di Tonno intervistato da Catia Di Gaetano

 Valeria Scapicchio
Ufficio Stampa
valeria.scapicchio@wordsforyou.it

Chiara Sanvito

Ufficio Stampa

chiara.sanvito@wordsforyou.it

Logo di proprietà WFY

 

PH Credit Alessandro Dobici

 

 

 

Caterina Marano poeta: la nostra intervista

Caterina Marano poeta: la nostra intervista

 

Caterina Marano poeta: la nostra intervista

E’ per noi un piacere ricordare la gioia, l’emozione e la freschezza nel sorriso di Caterina al momento di ritirare il premio conseguito nel nostro precedente Concorso l’Arte della parola per la sua opera “L’urlo del coraggio infranto” che ha, forse, determinato il suo più che meritato successo.

Caterina Marano poeta: la nostra intervista

Abbiamo già pubblicato il suo componimento in data 18/11/2019

https://www.lamacinamagazine.it/caterina-marano-il-volo-della-libellula/

L’intervista è condotta dallo scrittore e giornalista Andrea Lepone.

“Intervistiamo oggi la Dott.ssa Caterina Marano, psicologa specialista in infanzia, adolescenza e famiglia, psicoterapeuta e insegnante, nonché abile scrittrice e vincitrice di prestigiosi riconoscimenti letterari. Per Aletti Editore è in uscita la silloge poetica “I Dipinti dell’anima”.

Per stabilire da subito un clima di dialogo propongo di passare al “tu”.

Certamente, Andrea. Sono lusingata di essere intervistata da te, che sei per me da nobile esempio essendo un giovane autore di grande talento e avendo ricevuto da te il primo riconoscimento.

Buongiorno Caterina, grazie per la tua disponibilità e complimenti per il riconoscimento conseguito nel Concorso Letterario “Il Macinino”. La tua opera, intitolata “Il volo della libellula”, si è classificata al secondo posto ex aequo nella sezione dedicata alla poesia. Cosa ti ha ispirato nel comporre questa lirica?

Mi ha ispirato il mio corpo, che racconta spesso la mia storia con sensazioni molto forti. In particolare questa poesia l’ho scritta in un periodo di significativa trasformazione e in un contesto naturalistico. La scelta del titolo infatti sta a simboleggiare la ricerca consapevole di libertà e il bisogno di equilibrio attraverso una profonda connessione tra anima, mente e corpo, nonostante i morsi della vita e i boati del passato.

Nella suddetta poesia, l’utilizzo delle rime è assai significativo. Prediligi uno stile più ritmico, a scapito di un verso più sciolto?

Dipende dalla poesia e dalle emozioni che trasmetto. Di solito prediligo l’utilizzo delle rime quando le emozioni sono molto forti e profonde, quasi esplosive. La rima mi aiuta a stare con queste emozioni e a sentirne l’intensità per poi trasformarle in un’esperienza emotiva evolutiva, una conclusione diversa con cui spesso chiudo le mie opere. Allo stesso tempo preferisco agganciare il lettore con un’incisiva musicalità e accompagnarlo con ritmo deciso affinché la mia opera attraversi la sua anima dall’inizio alla fine.

Caterina Marano poeta: la nostra intervista

Esattamente come una libellula in volo, anche gli esseri umani hanno bisogno di un proprio “equilibrio” per affrontare la vita… secondo te, la poesia può essere d’aiuto in questo senso?

Credo profondamente nel potere terapeutico della poesia; è una preziosa risorsa per affrontare la vita. Con la poesia così come con altre forme di espressione artistica è possibile riscrivere la propria storia ed elaborare esperienze emotive per trasformarle in opportunità di crescita evolutiva. Nel mio caso è stata molto utile per accettare ed elaborare esperienze traumatiche della mia storia personale e familiare.

Ritieni che la scrittura creativa sia utile per comprendere meglio la personalità di un individuo, i suoi pensieri, le sue aspirazioni?

 Credo di sì, tuttavia è necessario che ci siano come condizione la disponibilità ad ascoltare e ascoltarsi, la motivazione a sintonizzarsi con se stessi e mettersi in discussione, il desiderio di riscoprirsi, il coraggio di accertarsi e lascarsi attraversare dalle proprie emozioni. Utilizzo spesso la scrittura creativa anche in ambito professionale sia con adulti sia con bambini. Tra i miei progetti futuri vi è un Laboratorio di scrittura creativa rivolto ai preadolescenti, per cui la poesia potrebbe essere utile sia a prevenire eventuali disagi sia a trasformarli in esperienze emotive accettabili e correttive.

 Arte poetica e condivisione… cosa ne pensi di questo binomio?

Credo nel potere di questo binomio affinché la poesia diventi espressione simbolica della psiche ed esperienza creativa per l’anima.La condivisione diretta della poesia o indiretta dell’esperienza emotiva suscitata è necessaria affinché l’arte poetica diventi un’esperienza evolutiva. La condivisione delle mie poesie con i miei genitori, che ringrazio infinitamente per avermi accompagnato in questa preziosa scoperta, è stata utile per elaborare insieme e in chiave metaforica dei vissuti emotivi troppi forti e intimi da poter condividere in maniera più diretta e intenzionale. Nella mia silloge poetica I Dipinti dell’anima ho privilegiato questa unione tra arte poetica e condivisione, coinvolgendo vari artisti con stili, ideologie, età e origine socio-culturali di diverso genere. Mi ha affascinato scoprire come dalla condivisione delle mie poesie siano nate altre forme artistiche, alcune anche completamente diverse dalle poesie a cui si sono ispirate. Nel mio libro l’anima di ogni poesia si incontra con lo spirito di ogni artista. Ogni lettore potrà scoprirsi in un dipinto dell’anima, in questo incontro condiviso tra arte e poesia.

Qual è il tuo componimento preferito, in termini assoluti?

Qualche tempo fa avrei citato un componimento dedicato a mio fratello Carmine, a cui è dedicata la mia silloge poetica. Per l’effetto trasformativo che ha la poesia su di me, ora posso dire che non ho un componimento preferito in termini assoluti perché ogni opera ritrae un respiro di libertà della mia anima e un sospiro di salvezza. Restando in tema di condivisione, vorrei citare il componimento “Radici nel cemento” a cui sono particolarmente legata perché è stato dedicato da mio padre a mia madre, ed è tra i loro preferiti.  Hanno sentito nei versi la forza del loro legame, che continua a vivere nonostante la perdita di un figlio. Questa poesia condivisa con loro rappresenta il potere della loro unione, per me grande fonte di forza e coraggio, e di cui sono molto orgogliosa.

Caterina Marano poeta: la nostra intervista

 Grazie Caterina per il tempo che ci hai concesso, con l’auspicio che ci seguirai con il tuo apprezzamento nei prossimi Concorsi Letterari che bandiremo.

Certo, non mancherò. Apprezzo molto il valore dei vostri eventi culturali e sono affettivamente legata ai vostri concorsi letterari. Con voi sono entrata nel mondo della poesia e ho iniziato a condividere le mie opere. Ricordo ancora con viva emozione quando ho esordito nel maggio scorso con l’“Urlo del coraggio infranto” al vostro Concorso L’Arte della parola, con cui ho ricevuto una menzione di merito.”

 

 

Pietro Catalano poeta: la nostra intervista 

Pietro Catalano poeta: la nostra intervista

 

Pietro Catalano poeta: la nostra intervista

 Pietro Catalano è nato a Palermo e vive a Roma, in questa meravigliosa città che è capace di accogliere ma che è purtroppo piagata da eventi che non hanno rispetto del suo fascino, della sua storia, della sua anima culturale e dei cittadini.

Pietro è membro di varie Associazioni Culturali ed è componente di giuria in alcuni premi letterari. Figura tra i vincitori di numerosi concorsi nazionali e internazionali; tra i riconoscimenti più significativi citiamo il “Premio Speciale Stampa”, Premio «Artisti per la Pace» e Premio alla Carriera alla «V Edizione del Premio Internazionale Magnolia».

Delle sue opere si sono occupati diversi studiosi e critici di fama.

Pietro Catalano ha un significativo profilo culturale che viene messo in luce dall’intervista condotta dallo scrittore e giornalista Andrea Lepone, Presidente di Giuria

Intervistiamo oggi Pietro Catalano che, oltre ad una soddisfacente carriera alle dipendenze dell’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, può vantare un curriculum letterario degno della massima considerazione. Vincitore di numerosi concorsi letterari, le sue liriche figurano in antologie didattiche, collane e riviste di settore, tradotte anche in lingua inglese.

Per stabilire da subito un clima di dialogo propongo di passare al “tu”.

Certamente, con l’occasione ti faccio i complimenti per la tua attività di giornalista e scrittore, per le opere pubblicate e per i meritati riconoscimenti ottenuti.

Buongiorno Pietro, grazie per la tua disponibilità e complimenti per il riconoscimento conseguito nell’ambito del Concorso Letterario “Il Macinino”. L’opera da te composta, intitolata “La mia città” e classificatasi al 2° posto ex aequo nella sezione dedicata alla poesia, sembra essere una chiara riflessione, un sorta di mesto tributo alla città di Roma. Cosa ti ha spinto a comporre questa lirica?

La poesia “La mia città” l’ho scritta alcuni anni fa e rappresenta, così come tu hai mirabilmente sintetizzato, “una sorta di tributo alla città di Roma”, dove mi sono stabilito negli anni 80. Sono originario di Palermo e sono approdato a Roma per motivi di lavoro, dopo aver prestato servizio – sempre nella pubblica amministrazione – a Venezia e Cuneo. E’ stata una scelta meditata e tenacemente perseguita perché Roma ha sempre rappresentato per me la città ideale in cui vivere, ricca di storia, memoria, cultura, bel clima, accogliente, insomma per dirla con il titolo di un famoso film di Rossellini ”Roma città aperta”. I primi versi “raccontano” una dimensione più personale della mia vita, “braccia aperte al cielo”, come esigenza di “infrangere” ogni confine ed aprirsi al mondo. E’ per questo motivo che ho scelto Roma, perché la sua storia testimonia una vocazione all’incontro e al dialogo, capace di operare una sintesi tra le diversità, non solo capitale d’Italia, ma anche della cristianità. Mi addolora pertanto verificarne lo stato di “decadenza” rispetto al passato, e da qui l’affermazione “dimentica il suo futuro”. La poesia – intrisa di mestizia, come hai sapientemente colto – è tutto sommato un atto d’amore per questa città, unito alla speranza che torni a “riappacificarsi” con la sua storia più nobile e che l’ha resa “eterna”.

All’interno dell’opera, tu non celebri le bellezze della Città Eterna, bensì ne tratteggi sapientemente ricordi, aneddoti e situazioni… quali episodi, legati indissolubilmente a Roma, hanno segnato maggiormente il tuo animo?

Come ho precedentemente detto, sono turbato dallo stato di decadenza della città. Roma è sicuramente una delle più belle città del mondo, ma c’è una sottile differenza tra il vissuto di chi la visita per inebriarsi delle sue bellezze e chi vi risiede e tutti i giorni deve inevitabilmente confrontarsi con le sue inefficienze gestionali. Raggiungere il posto di lavoro spesse volte è un’odissea, alle prime piogge si verificano puntualmente allagamenti, metro e autobus sempre più soggetti a guasti al di là dell’ordinario, buche non riparate che procurano gravi danni e talvolta incidenti mortali. Potrei continuare, ma non mi sembra il caso di infierire più di tanto. Va inoltre detto che una città non è rappresentata solo dal “salotto buono”, ma comprende anche le periferie e Roma – così come altre città della nostra amata penisola – in tal senso ha un grave debito nei confronti delle zone degradate e delle classi sociali meno abbienti. Tutto ciò incide sulla qualità della vita di molti cittadini e direi sulla condizione dello “spirito”. Di contro non mancano iniziative e spazi culturali inclusivi, in sintesi Roma non difetta di un’umanità che resiste, che guarda al futuro con coraggio e speranza, certa che è “sempre roseo il sole che tramonta accarezzando il Cupolone”.

Pietro Catalano poeta: la nostra intervista

 Ci sono grandi poeti romani ai quali ti ispiri, o che ti hanno influenzato nel corso della tua carriera letteraria? Magari Trilussa o il Belli?

Ho sempre apprezzato i poeti romani, tra i quali Trilussa, Belli e Pascarella. Leggendo i loro testi, si comprende appieno la “romanità” che – per dirla con le parole di Paolo Paccagnani –  è animata di fatto da varie componenti, tra le quali l’ironia, una certa dose di (disincantato) cinismo, un po’ di fatalismo, ma soprattutto da una grande, e direi penetrante, umanità. Premesso ciò, i poeti che maggiormente hanno influenzato il mio percorso poetico sono stati Quasimodo, Montale, Leopardi, Neruda, Baudelaire, Dickinson, Whitman. E poi – a ben guardare – va detto che ogni “poeta” è figlio del suo tempo.

Quale messaggio intendi condividere con i lettori, attraverso le tue poesie?

Credo che ogni poeta scriva per un bisogno insopprimibile. Per me è importante cogliere l’attimo in cui la parola poetica si manifesta e conseguentemente assecondare il bisogno di andarle incontro, direi di abbracciarla.

Riguardo al messaggio che intendo condividere con i lettori, posso dire che sento prevalentemente il bisogno di volgere lo sguardo al sociale e alla realtà che ci circonda. Una mirabile e puntuale sintesi riguardo alla mia poetica è stata fatta da Nazario Pardini il quale, per caratterizzarne “l’empito ispirativo”, ha menzionato le parole di John Donne: “La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te”. E’ in questo senso – direi – che possono essere interpretate le mie poesie, vale a dire la capacità di trasformare l’io soggettivo nel noi collettivo.

Pietro Catalano: la nostra intervista

Per te, quanto conta, oggi, l’arte della scrittura poetica in quanto strumento di memoria sociale?

Oggi più che mai è importante avere memoria della nostra storia, dei suoi contenuti e, di conseguenza, degli insegnamenti morali che da essa possiamo trarre. I social rappresentano una nuova forma di comunicazione e di “controllo sociale”, per cui oggi più di ieri si avverte la necessità di vigilare sulla veridicità delle fonti di informazione. L’essere umano è rappresentato dalla sua memoria, dal suo vissuto individuale e collettivo. La poesia, per la sua peculiarità – a mio avviso – dovrebbe avere pertanto anche funzione di memoria sociale. Come dice Luis Sepulveda “Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro”.

Qual è il tuo componimento preferito, in termini assoluti?

Non c’è un componimento che preferisco in assoluto perché ciascuno rappresenta sentimenti, ricordi, riflessioni. Alcune poesie sono incentrate su temi di carattere sociale, altre trattano della condizione umana, altre ancora indugiano su una dimensione più intimista. Pertanto, direi, che ciascuna poesia è parte del mio pensiero e del mio essere, parte di un tutto inscindibile.

Grazie Pietro per il tempo che ci hai concesso, con l’auspicio che ci seguirai con il tuo apprezzamento nei prossimi Concorsi Letterari che bandiremo.