Magnum Manifesto: 70 anni di foto all’Ara Pacis

magnum manifesto

Con la mostra “Magnum Manifesto”, aperta al pubblico dal 7 febbraio al 3 giugno, il Museo dell’Ara Pacis celebra i 70 anni della Magnum Photos.

La più grande agenzia fotogiornalistica al mondo fu creata da Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, George Rodger e David Seymour nel 1947. Da allora i suoi autori sono stati veri e propri interpreti di questi decenni, raccontando guerre, cambiamenti e tensioni. Le loro foto sono diventate prima di tutto testimonianze senza tempo di avvenimenti di grande impatto sotto il profilo sociale, ma anche politico e storico.

Quella di “Magnum Manifesto” all’Ara Pacis è la prima tappa europea nonché unica italiana. L’esposizione è promossa da Roma Capitale, Contrasto e Magnum Photo 70, in collaborazione con Zètema Progetto Cultura. Il curatore Clément Chéroux (direttore della fotografia del MoMa di San Francisco)  ha selezionato una serie di immagini (alcune rare e inedite) che hanno segnato il fotogiornalismo mondiale.

Tre le sezioni espositive allestite e 75 i fotografi in mostra. Tra questi Eve Arnold autore del rilevante reportage sui lavoratori immigrati negli USA, Paul Fusco autore di Funeral Train, serie dedicata al viaggio della salma di Robert Kennedy verso il cimitero di Arlington. E poi Jérôme Sessini, Larry Towell, Burt Glinn, Olivia Arthur, Cristina Garcia Rodero e Paolo Pellegrin.

Magnum Manifesto: le 3 sezioni

Diritti e rovesci umani si concentra sugli anni tra il 1947 e il 1968: Seconda Guerra Mondiale, decolonizzazione, affermazione di USA e URSS, Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. In questo quadro, molti dei progetti della Magnum Photos si concentrano su testimonianze in difesa del concetto di universalità.

Magnum è la fotografia.
Henri Cartier-Bresson

Un inventario di diversità racconta gli anni Settanta e Ottanta e le nuove figure emergenti nella società: il malato, il folle, l’emarginato. Tutto ciò che è “altro” e che lo storico francese Paul Veyne chiamava di conseguenza “l’inventario delle diversità”.

Magnum è un’organizzazione tenuta insieme da un’intangibile colla di sogni e speranze.
Wayne Miller

La terza e ultima parte di “Magnum Manifesto”, Storie della fine, racconta gli anni successivi alla caduta del Muro di Berlino. I temi portanti sono la tecnologia, il capitalismo, la globalizzazione, la crescita culturale e il modernismo. Fa parte di questa sezione un progetto in particolare, dedicato alla chiusura delle fabbriche Kodak: Postcards from America.

 

Daniela Poggi: Una donna, Tante donne

Daniela Poggi: Una donna, Tante donne

Daniela Poggi: Una donna, Tante donne

Daniela Poggi nasce a Savona, una città di mare.
In casa crebbe con l’Arte, al di fuori di essa ha vissuto in un mondo colorato: l’azzurro del mare, del cielo, della sua città e l’aria salmastra da respirare per poi portare queste sensazioni dentro, ovunque andrà.
La sua carriera iniziò a 14 anni quando si aprì il primo sipario per interpretare Andromaca di Racine in lingua francese… “Il cuore batteva a mille ma io mi sentivo “esistere”.
In questa frase c’è già un valido motivo per vivere.
Un’ adolescente che la curiosità porterà, poi, dal teatro al cinema, alla televisione, interpretando tanti ruoli, molte sfide che la porteranno a vivere tante vite per regalare emozioni, fare percorsi dentro se stessa, conoscersi meglio e accettarsi.
A 20 anni è in teatro con Walter Chiari in “Hai mai provato nell’acqua calda”?
Passa poi al teatro impegnato, con testi drammatici di Jules Pfeifer e Arturh Miller. Recita con tutti i mostri sacri del teatro come Arnoldo Foà.
Dal 2009 inizia un percorso impegnato sui temi sociali di grande rilevanza, tante opere fino a Pirandello, Sciascia.
Nel cinema è stata diretta da Ettore Scola, Luciano Salce, Giorgio Capitani, Pasquale Festa Campanile ed altri illustri nomi.
Compie 40 anni di carriera sul set di un film: “L’esodo”.

Daniela Poggi: Una donna, Tante donne

Daniela Poggi: Una donna, Tante donne

D. Signora Poggi, Lei ha festeggiato i suoi 40 anni di carriera vestendo i panni di un’esodata nell’opera prima di Ciro Formisano. Un film verità in cui si riconosceranno tante persone. Che emozioni ha vissuto in questo ruolo che lei interpreta, ma che molti italiani vivono?

R. Tante emozioni, dalla vergogna, alla consapevolezza, la voglia di lottare per chi subisce ingiustizie, la forza della ragione e la dignità di essere dalla parte del giusto. Troppe persone soffrono di indigenza e invisibilità, dobbiamo unirci a loro e urlare tutti insieme: BASTA!

D. Da quel giorno consegnato alla storia dalle lacrime della Fornero, iniziò un calvario che ha portato migliaia di famiglie a vivere in uno stato di indigenza. Cosa pensa lei di uno Stato che non è in grado di garantire una vita dignitosa alle fasce più deboli, tra cui gli anziani?

Daniela Poggi: Una donna, Tante donne

 

 

 

 

R. Lo ripeto, la politica spesso pensa più alla risoluzione di problemi finanziari, bancari, mondiali lasciandosi alla spalle la vita delle persone. Questa non è buona politica.

D. Viviamo in un mondo altamente tecnologizzato ma si muore ancora di solitudine; il femminicidio è storia di tutti i giorni ormai, c’è un grande degrado morale che ci porta indietro di tanti anni. Il suo pensiero al riguardo?

R. Anni di degrado culturale, si è cercato di intorpidire le menti, levare la capacità di pensare, dai giornali alla televisione…Il sapere è stato annientato per l’apparire non importa come. L’uomo è rimasto indietro nel cammino della donna che si evolve ogni giorno di più, mentalmente e professionalmente. Nella scuola i primi segni di violenza e poi in famiglia, nei gesti, nelle parole…Bisogna stare attenti quando si parla, le parole possono uccidere.

D. Poter lavorare quanto ha contribuito, secondo lei, a creare un’autostima nelle donne?

R. Certo il lavoro è espressione di dignità e autonomia. Solo così la persona esiste.

D. Esiste, secondo lei, un tipo di uomo che non fa, necessariamente, la scansione di seno e sedere, prima di relazionarsi con una donna?

R. Non lo so, bisognerebbe fare una ricerca sugli uomini…Penso di no. D’altronde la prima attrazione è vedendo, poi conoscendo e poi approfondendo.

Daniela Poggi: Una donna, Tante donne

D. Le faccio una domanda provocatoria. Rispetto alla rete di amicizie di Facebook a che servono oggi i parenti?

R. FB se usato come mezzo di lavoro è straordinario, così come lanciare petizioni a favore dei più deboli, umani e non. I gossip sono deleteri. Cercare amicizia su FB è come dire “io non sono capace di vivere veramente la vita”…la cosa buona è che ogni tanto si ritrovano persone con le quali si è condiviso un periodo della vita e poi, per tante ragioni, ognuno ha preso la sua strada e ci si è persi di vista; con FB eccoci di nuovo. I parenti sono indispensabili bisogna coccolarli e mai dimenticarli.

D. Lei ha adottato una bambina, questo denota la sua sensibilità e la voglia di regalare amore. Cosa ne ha ricevuto in cambio?

R. Non ho adottato, sono la sua madrina di battesimo e affianco la sua vita da sempre, scuola, sport, viaggi e altro. In cambio ho la gioia del suo sorriso, delle sue vittorie all’università, delle sue sfide vinte perché è intelligente. Ha dato un senso alla mia vita.

D. Come si prepara ad interpretare un personaggio?

R. Lo analizzo, lo interrogo, leggo, lo vivo con il cuore e la pancia. Mi dimentico di me e divento LEI.

D. Come vive, se c’è, la competizione con i suoi colleghi?

Daniela Poggi: Una donna, Tante donne

R. Una sana competizione deve esserci sempre se no ci si ammoscia!

D. Il suo amico modaiolo fiorentino Stefano Panaro, dall’America l’ha sempre definita di ”una genialità stellare”. Sicuramente un bel complimento. Lei si riconosce questo valore?

R. Stefano è troppo buono. Sono una persona normale come tante altre che ha il dono della Fede e mi ci aggrappo con tutta me stessa. Ho sempre lavorato, lottato, non mi arrendo, sono curiosa e ambiziosa perché se lavoro e guadagno posso aiutare molto chi ha bisogno.

D. Gode di buona salute oggi il cinema italiano?

R. Non direi

D. Lei ama di più sorprendere o essere sorpresa?

R. Ambedue

D. Come fa a mantenersi così bella e in forma?

Daniela Poggi: Una donna, Tante donne

R. La bellezza ti viene regalata, non è merito tuo, devi solo proteggerla e mantenerla, alimentazione vegana, sport, dormire bene, serenità, letture e buone persone accanto. Cuore sempre aperto così come occhi e orecchie…vivere la vita.

D. Qual è il suo rapporto con il tempo che passa?

R. Paure, speranze, ironia, leggendo chi è più saggio e ha già capito il senso della “adultità”!

D. Una, nessuna, centomila. Chi è esattamente Daniela Poggi?

R. Tutte e nessuna…Una particella di Dio.

D. Nei suoi sogni c’è mai stato o c’è un Oscar?

R. Impossibile volare così in alto, sarei felice di un David per L’Esodo.

Daniela Poggi: Una donna, Tante donne

Noi le auguriamo di vincerlo per tutto quello che Lei è, che dà e che fa.
Nel 2001 Daniela Poggi è stata nominata “Goodwill Ambassador” da parte di UNICEF-Italia per sensibilizzare e coinvolgere l’opinione pubblica sui problemi dell’infanzia, testimoniando e promuovendo con il suo impegno nel mondo della cultura e dello spettacolo la solidarietà e il sostegno alle iniziative dell’UNICEF.
Quindi anche la sua arte al servizio dei più deboli.
Daniela Poggi è più di tutto questo, non serve sottolineare ciò che si vede, ma è anche fine, discreta, riservata, lontana dai frastuoni e dai divismi gratuiti.
Tutto ciò che ha conquistato è frutto di impegno, passione e ricerca interiore perché, come dice giustamente Simone De Beauvoir: “Donne non si nasce lo si diventa”.
Noi la ringraziamo per averci permesso di conoscerla un po di più e la lasciamo augurandole di vivere ancora tante vite con la passione e il successo avuti fino ad oggi.

Daniela Poggi: Una donna, Tante donne che si sono rivelate in questa intervista concessa alla Prof.ssa Caterina Guttadauro La Brasca che ringraziamo

 

The Wolf of Wall Street

The Wolf of Wall Street

The Wolf of Wall Street

è un film del 2013 e narra l’ascesa ed il declino del miliardario Jordan Belfort, avido cocainomane nevrotico genio dell’alta finanza della New York degli anni ’90; il film è tratto dal romanzo autobiografico omonimo.

Victor Lebow, famoso analista di mercato americano del secolo scorso, negli anni ’50 scriveva che nell’era del consumismo estremo una buona strategia commerciale è quella che si pone l’obiettivo di trasformare i semplici cittadini in consumatori voraci, maniacali, sperperatori, tossico-dipendenti dal consumo, imprigionati in una vorticosa coazione a ripetere all’infinito per il raggiungimento di una fugace “felicità” del possesso, del consumo e dell’ingannevole potere che ne deriva.

Salvo superare il limite – come in effetti ci presenta il bravissimo Leonardo Di Caprio protagonista di The Wolf of Wall Street – e ritrovarsi, dopo aver toccato il cielo con un dito, schiantati per terra a strisciare per elemosinare il necessario per sopravvivere.

The Wolf of Wall Street

The Wolf of Wall Street

La follia prodotta dal capitalismo estremo è la stessa follia generata dal consumismo incontrollato, nevrotico ed ossessivo, dove tutto è possibile: beni di superlusso, sesso, droga, trasgressione estrema, potere assoluto.

L’uno genera l’altro, e viceversa, secondo un circolo diabolicamente perverso.

Si alimentano e si cannibalizzano reciprocamente fino alla dissoluzione totale, fino al superbo trionfo del “peccato”.

Sembrerebbe questo il messaggio che il sempre più grande Martin Scorsese, insieme al bravissimo sceneggiatore Terence Winter, vuole lanciare al mondo del cinema con questo suo imperdibile e imponente capolavoro.

E se il messaggio è questo, Scorsese ci riesce perfettamente costruendo un film con un ritmo a tratti nevrotico a tratti schizofrenico, come i protagonisti, come la storia narrata, come la follia generata da una società dominata dalle ciniche leggi del mercato globale che – nel film di Scorsese – vengono sintetizzate in una fantastica scena finale dove il Di Caprio, guru ormai decaduto della finanza newyorkese, incita ipnoticamente i suoi bramosi ascoltatori desiderosi di attingere dalla sua esperienza di “successo”, ripetendo ossessivamente quella che era stata la sua prima lezione di broker: “Vendimi questa penna. Vendimi questa penna. Vendimi questa penna…”

 

The Wolf of Wall Street una recensione di Andrea Giostra

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Murdered on the Orient Express – Assassinio sull’Orient Express

Murdered on the Orient Express - Assassinio sull’Orient Express

 

Murdered on the Orient Express – Assassinio sull’Orient Express 

Murdered on the Orient Express - Assassinio sull’Orient Express

Recensione di Andrea Giostra

Kenneth Branagh si rivela il vero grande talentuoso mattatore di questa ennesima, ma assolutamente interessante, rivisitazione cinematografica del best seller di Agatha Christie “Murdered on the Orient Express” pubblicato in Inghilterra il 1 gennaio del 1934 da quella che fu un’importantissima casa editrice britannica specializzata in novelle e racconti di crimini, in particolare “new crime books”, ovvero la “Collins Crime Club”.

Murdered on the Orient Express - Assassinio sull’Orient Express

Sono passati 84 anni e la narrazione, seppur con una sceneggiatura rivisitata e resa aderente ai giorni nostri, rimane catturante e ipnotizzante come un vero giallo deve essere.

Il film è da vedere, su questo non ci sono dubbi. Gli attori sono tutti delle star strepitose ed arcinote nel modo della settima arte ed ognuno di loro interpreta la relativa parte con un’efficacia recitativa da standing ovation. Tenere insieme un’intera squadra di fuoriclasse per vincere la Champions non è impresa facile, per nessuno. Qui il risultato è eccellente, e anche di questo il merito non può che andare a Branagh.

La fotografia è veramente bellissima e i paesaggi risultano molto aderenti ad una narrazione “gelida” e intelligente. La colonna sonora è poderosa e sintonica con il susseguirsi delle scene e con i ripetuti ed incalzanti flashback e si conclude con il bellissimo “Never Forget”, cantata da Michelle Pfeiffer, (link sottostante) in onore di Kenneth Branagh.

Murdered on the Orient Express - Assassinio sull’Orient Express

Ed anche per questo il film è da vedere.

Dicevamo di Kenneth Branagh, grandissimo attore teatrale shakespeariano di eccellente talento che nel film riveste i tre ruoli più importanti: produttore, sceneggiatore, regista. E questo basta per comprendere il peso nel film di questa vera grande star cinematografica e teatrale. Un film che per certi versi appare allo spettatore come una rappresentazione teatrale proiettata in una sala cinematografica. E anche questo ci sta, considerata la formazione culturale e artistica di Branagh.

Murdered on the Orient Express – Assassinio sull’Orient Express

Dopo un incarico a Gerusalemme, portato a termine con grande successo, Hercule Poirot (Kenneth Branagh) decide di riposare un po’ concedendosi una breve vacanza. Quale migliore occasione che chiedere al suo amico e ammiratore Bouc (Tom Bateman), direttore dell’Orient Express, di prenotargli un posto sul famosissimo treno?

Durante il viaggio viene commesso un omicidio. Lo stesso Bouc prega Poirot di risolvere il caso prima che intervenga la polizia locale e possa incolpare uno qualunque dei passeggeri, magari mossa da pregiudizi razziali. Subito dopo l’assassinio il treno rimane bloccato su un altissimo ponte in legno sospeso sopra una scarpata impressionate. Il nostro detective avrà tutto il tempo per trovare l’assassino prima che arrivino i soccorsi per liberare il treno dalla neve.

Murdered on the Orient Express - Assassinio sull’Orient Express

L’indagine è incalzante, avvincente, intrigante, perspicace, come in tutte le storie di Agatha Christie. Ma questa è un’altra storia da vedere nelle sale cinematografiche perché il finale, come in tutti i romanzi gialli, è sorprendente, anche per il lettore che avrà già letto il romanzo originale, anche per lo spettatore che avrà visto una precedente produzione cinematografica.

Murdered on the Orient Express – Assassinio sull’Orient Express

Regia di Kenneth Branagh

Produzione di Mark Gordon, Simon Kinberg, Ridley Scott, Winston Azzopardi, Kenneth Branagh, Judy Hofflund, Matthew Jenkins, James Prichard, Michael Schaefer

Distribuzione 20th Century Fox

Sceneggiatura non originale di Michael Green, tratta dal romanzo di Agatha Christie

Musiche di Patrick Doyle

Con Kenneth Branagh, Penélope Cruz, Willem Dafoe, Judi Dench, Johnny Depp, Josh Gad, Leslie Odom Jr., Michelle Pfeiffer, Daisy Ridley, Michael Peña, Lucy Boynton, Derek Jacobi, Tom Bateman, Marwan Kenzari

ANDREA GIOSTRA

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Internet Haters (I.H.)

Internet Haters (I.H.)
Internet Haters (I.H.)
con questo termine di origine anglosassone gli esperti di comunicazione e la comunità scientifica internazionale definiscono persone che dietro un alias virtuale o reale, utilizzano le varie piattaforme internet per esprimere il loro odio verso altre persone, verso alcune specifiche categorie di soggetti, verso un’idea, verso un oggetto.
In italiano si potrebbe tradurre con “quelli che odiano su internet”.
Quello che proveremo a fare con questo scritto è dare delle motivazioni sociali e culturali che facciano comprendere perché queste persone esprimono il loro odio via internet e, al contempo, proveremo ad identificare alcune categorie di soggetti che possano dare delle spiegazioni, non esaustive, a questo fenomeno in forte crescita internautica.
Gli Internet Haters (I.H.), di fatto, sono tutte quelle persone che usualmente utilizzano i social e le varie piattaforme internet per “eruttare” il loro odio nei confronti di un’altra persona, nei confronti di un luogo, di un film, di un libro, di uno spettacolo, di un artista, di un’idea, etc…
nickname che queste persone utilizzano qualche volta sono reali, nel senso che utilizzano il loro vero nome, molto più spesso sono nomi inventati per non essere riconoscibili e rintracciabili.
Gli Internet Haters (I.H.) non sono però persone che possono essere classificate all’interno di un’unica specifica categoria di soggetti. Recenti studi e ricerche sociologiche realizzate da diverse università, sia italiane che straniere, hanno portato alla conclusione che gli Internet Haters (I.H.) rappresentano tutti gli strati sociali, culturali, professionali, politici, religiosi, etnici, etc.. Questo per dire che gli Internet Haters (I.H.) non si possono etichettare in un’unica categoria socio-culturale, né si possono classificare all’interno di una specifica patologia psichiatrica, qualora si volesse definirli clinicamente.
Altri esperti di comunicazione internautica e di psicologia sociale, definiscono gli Internet Haters (I.H.) come utenti web che esprimono odio e insulti ogni volta che non sono d’accordo con qualcosa o qualcuno. Attraverso le loro azioni sul web e i loro commenti postati nei vari portali social, cercano di diffondere opinioni negative e di attaccare violentemente una persona, un’idea, un oggetto.
Gli Internet Haters (I.H.) possono anche vestire i panni dei cosiddetti “Tròll” cioè utenti internet che con le loro azioni web intervengono all’interno di determinate comunità virtuali in modo provocatorio, offensivo, insensato, senza argomenti credibili o convincenti, al solo scopo di delegittimare qualcuno o qualcosa, disturbare le normali comunicazioni e interazioni tra gli utenti di quella determinata piattaforma o gruppo di discussione virtuale, provando a creare scompiglio, confusione, delegittimazione, disorientamento.
Sia gli Internet Haters (I.H.) che i Tròll vengono definiti come soggetti bigotti, razzisti, pusillanimi, con un livello culturale basso o bassissimo (anche se in possesso di diploma di laurea o di titoli di studio!), insicuri, con una struttura di personalità fragile e adolescenziale, con una scarsissima autostima, con una identità personale debole, che godono nel gettare veleno, delegittimazione e scompiglio sul popolo di Internet.
Un’altra variante degli Internet Haters (I.H.) è rappresentata da coloro che nei portali social segnalano anonimamente al gestore del portale (Facebook tra tutti) come spam o come post violenti, illegali o impropri, quei post che non condividono e verso i quali nutrono un totale dissenso. È un modo questo estremamente pusillanime di colpire indirettamente determinati post attraverso un’azione di segnalazione falsa per fare in modo che il loro “utente-bersaglio” venga bloccato o limitato nelle azioni di utilizzo della sua pagina web, dai gestori del portale (tra tutti, per esempio, Facebook).
Gli Internet Haters (I.H.) sono persone che odiano e aggrediscono proprio perché non hanno argomenti per contrastare dialetticamente e culturalmente l’oggetto che scatena in loro paura e timore. Non hanno argomenti e quindi odiano offendendo e cercando di distruggere virtualmente l’oggetto del loro odio. Questo aspetto comportamentale, che si manifesta con delle azioni virtuali (post, messaggi, tentativi di bloccare quello specifico profilo, etc…), in un certo qual modo, per gli Internet Haters (I.H.), rappresenta una sorta di regressione ancestrale all’“uomo delle caverne”, ai trogloditi dell’età della pietra per intenderci, dove si presume che i contrasti e le diatribe tra membri della stessa tribù, venissero decise a favore di chi urlava maggiormente e/o di chi faceva baccano in modo più fragoroso.
Nell’età della pietra, sostengono alcuni esperti del settore, non contavano nulla le reali ragioni dell’uno o dell’altro, ma l’aveva vinta semplicemente chi urlava nella faccia dell’altro in modo più poderoso e assordante. Ecco, da questo punto di vista, l’Internet Haters (I.H.) è colui che inconsciamente ragiona proprio come un troglodita: «il mio odio nei tuoi confronti lo esprimo gridando virtualmente offese e calunnie per dimostrare a tutto il popolo web che, rispetto alla tua idea e alla tua persona, io ho “ragione” e tu “torto”!»
Internet Haters (I.H.)
Quello che i recenti studi di questo fenomeno hanno rilevato è che tutti gli Internet Haters (I.H.) sono accomunati dallo scarso livello di tolleranza per tutto ciò che è diverso da loro, per tutto ciò che non conoscono, per tutto ciò che immaginano minaccioso nei loro confronti, nei confronti degli individui della loro stessa categoria sociale e culturale e, per certi versi, per tutto ciò che immaginano minaccioso nei confronti della loro famiglia e dei loro cari. Questa è la motivazione principale che fa scaturire in questi soggetti l’odio che li porta ad utilizzare internet per cercare di distruggere virtualmente quanto risulta loro una potenziale e pericolosa minaccia.
In sintesi, seguendo questo ragionamento, l’Internet Hater (I.H.)  è mosso dalla “paura”.
Ma cos’è la paura?
Treccani ci spiega che la «Paura è uno stato emotivo consistente in un senso di insicurezza, di smarrimento e di ansia di fronte a un pericolo reale o immaginario o dinanzi a cosa o a fatto che sia o si creda dannoso; più o meno intenso secondo le persone e le circostanze, assume il carattere di un turbamento forte e improvviso quando il pericolo si presenti inaspettato, colga di sorpresa o comunque appaia imminente.»
Ebbene, la definizione di Treccani ci aiuta ad inquadrare gli Internet Haters (I.H.) all’interno di una macro categoria di persone che è quella di “coloro che hanno paura e per ciò odiano”.
Gli Internet Haters (I.H.), da questa prospettiva, sono tutte persone che certamente hanno paura (inconsciamente o consciamente) di qualcosa. L’odio in questi soggetti nasce dalla paura nei confronti della categoria di persone, dell’oggetto, dell’idea che temono, e proprio perché temuto va prima odiato, poi attaccato e infine distrutto virtualmente con tutti i mezzi di cui dispongono; nello specifico, l’attacco e il tentativo di distruzione di chi si ha paura, viene messo in atto attraverso i mezzi di comunicazione delle nuove tecnologie informatiche che comportano uno scarso rischio di essere individuati e di essere a loro volta attaccati. Un’azione, questa, mossa da soggetti codardi in quanto l’attacco messo in atto non prevede o consente un contradditorio ed un “uscire allo scoperto” manifestando le proprie ragioni rispetto al tentativo di distruggere chi si odia o di motivare da cosa nasce l’odio; bensì è un attacco mancino e clandestino di chi non vuole mettere a repentaglio la propria persona e la propria identità: “lancio la pietra per colpirti nascondendo virtualmente subito dopo la mia mano”.
Uno degli interessanti risvolti di questo fenomeno è quello politico. Alcuni soggetti che vogliono accelerare la loro carriera politica, infatti, sapendo ben cogliere la frustrazione e l’odio di centinaia di migliaia di persone verso una specifica categoria di soggetti, ovvero, verso un determinato soggetto pubblico, diventano e vestono i panni del “paladino demolitore” di questi “pubblici bersagli”, ritrovando l’immediato consenso e sostegno virtuale di tutti coloro che la pensano come lui.
Classici esempi riportati dalla letteratura del settore, sono le azioni di odio razziste e xenofobe.
Per continuare il nostro ragionamento è opportuno richiamare qui le definizioni di razzismo e di xenofobia facendoci aiutare ancora una volta da Treccani.
«Razzismo. Ideologia, teoria e prassi politica e sociale fondata sull’arbitrario presupposto dell’esistenza di razze umane biologicamente e storicamente «superiori», destinate al comando, e di altre «inferiori», destinate alla sottomissione, e intesa, con discriminazioni e persecuzioni contro di queste, e persino con il genocidio, a conservare la «purezza» e ad assicurare il predominio assoluto della pretesa razza superiore: il razzismo nazista, la dottrina e la prassi della superiorità razziale ariana e in particolare germanica, elaborata in funzione prevalentemente antisemita; il razzismo della Repubblica Sudafricana, basato sulla discriminazione razziale sancita a livello legislativo e istituzionale (v. apartheid); il razzismo statunitense, riguardo a gruppi etnici di colore, o anche a minoranze diverse dalla maggioranza egemone. Più genericamente, complesso di manifestazioni o atteggiamenti di intolleranza originati da profondi e radicati pregiudizî sociali ed espressi attraverso forme di disprezzo ed emarginazione nei confronti di individui o gruppi appartenenti a comunità etniche e culturali diverse, spesso ritenute inferiori: episodî di razzismo contro gli extracomunitari.»
«Xenofobia. Sentimento di avversione generica e indiscriminata per gli stranieri e per ciò che è straniero, che si manifesta in atteggiamenti e azioni d’insofferenza e ostilità verso le usanze, la cultura e gli abitanti stessi di altri paesi, senza peraltro comportare necessariamente una valutazione positiva della propria cultura, com’è invece proprio dell’etnocentrismo; si accompagna spesso a un atteggiamento di tipo nazionalistico, con la funzione di rafforzare il consenso verso i modelli sociali, politici e culturali del proprio paese attraverso il disprezzo per quelli di altri, ed è perciò incoraggiata soprattutto dai regimi totalitari.»
Internet Haters (I.H.)
Non occorre approfondire molto questa parte del ragionamento – la letteratura è strapiena di saggi e di scritti sui temi del razzismo e della xenofobia utilizzati cinicamente per fini politici – perché tutti quanto sappiamo bene, dalla storia e dalla politica recente e passata, che molti partiti politici, di oggi e di ieri, sono nati e nascono proprio da sentimenti di incontrollato e viscerale razzismo e/o xenofobia.
L’elemento che ci interessa qui è invece quello della “paura”. Anche in questi casi, nei casi di odio internautico mossi dal razzismo e dalla xenofobia, quello che muove l’azione dell’Internet Haters (I.H.) è la paura.
Per coloro che sono mossi da sentimenti razzisti la paura nei confronti di una presunta “razza inferiore” che possa prendere il sopravvento e inquinare la presunta “razza pura” – della quale l’Internet Haters (I.H.) ritiene di far parte! – alla quale assicurare, con le loro azioni sul web, il “predominio”.
Per coloro che sono mossi da sentimenti xenofobi, la paura nei confronti dello “straniero” e di tutto ciò in cui i nostri Internet Haters (I.H.) non si riconoscono dal punto di vista della cultura, dei costumi, delle usanze, della politica, della religione, etc..
È, in estrema sintesi, la “paura” che domina gli Internet Haters (I.H.).
La loro paura nei confronti di qualcosa che immaginano – in una sorta di persecuzione allucinatoria – minaccioso e pericoloso. La paura in qualcosa che possa accadere imminentemente e, per questo, la loro re-azione deve essere tempestiva e violenta proprio perché possa frenare, arrestare e distruggere l’“oggetto” della loro paura.
Un oggetto che, come abbiamo visto, può assumere “connotati” e caratteristiche diversi: un “popolo”; una “razza”; una “cultura”; un’idea; un personaggio; un evento; etc.. Gli Internet Haters (I.H.) sono soggetti nei quali la “paura” germoglia dall’evidente ignoranza, dalla scarsa cultura, dalla scarsa tolleranza, dall’insicurezza, da una personalità facilmente vulnerabile, da una identità personale rimasta infantile o adolescenziale, da torti reali o presunti subiti in passato e mai metabolizzati.
Gli Internet Haters (I.H.), in sostanza, sono soggetti vittime della loro stessa paura, della loro scarsa cultura ed esperienza di vita, della loro personalità incompiuta e facilmente vulnerabile.
È proprio questo il motivo per il quale molti degli Internet Haters (I.H.) si identificano, per compensare la loro identità fragile e vulnerabile, con determinati gruppi sociali o con determinate ideologie: con la propria squadra sportiva, con un gruppo ideologico estremista, con una nazione, con un gruppo sociale, con un partito politico, con un gruppo religioso, etc.. Rinunciano pertanto alla loro identità incompiuta per sostituirla integralmente con quella del gruppo o dell’ideologia che hanno scelto e con il quale si identificano totalmente vestendone pubblicamente, per esempio, anche i caratteri identificatori: la maglia di quella squadra sportiva, abiti che richiamano vistosamente la bandiera della propria nazione, accessori che portano il simbolo di quel gruppo ideologico, simboli e gadget che richiamano il gruppo religioso o politico, tatuaggi simboli e rappresentativi di quella specifica identità ideologica, etc..
È molto interessante il docu-film “The Internet Warriors” (pubblicato su YouTube nel marzo del 2017, il cui link troverete alla fine di questo capitolo) ideato e realizzato dal regista svedese Kyrre Lien che nel Natale del 2014, un po’ per curiosità, un po’ per gioco, iniziò a ricercare su internet i commenti che esprimevano odio e intolleranza.
Lien racconta di essere rimasto affascinato dai tantissimi commenti che esprimevano odio ma che esprimevano anche tanta ignoranza da parte di questi Internet Haters (I.H.). Ignoranza perché leggendo i loro commenti, Lien si accorse che queste persone conoscevano poco quello che attaccavano. L’azione di odio espressa attraverso i social e internet era mossa da pregiudizi, da pre-concetti, da stereotipi mai messi in discussione e mai sindacati da parte di questi Internet Haters (I.H).
L’“assioma” che evidenziò Lien fu quello di un forte pregiudizio nei confronti di una categoria, di un soggetto, di un oggetto, di un’idea; pregiudizio dal quale scaturivano tutte le azioni di odio e di intolleranza internautica espressa attraverso decine o centinaia di commenti distruttivi e di odio feroce.
Per realizzare il suo documentario, Lien iniziò a guardare i profili Facebook di questi Internet Haters (I.H.) e si accorse che erano persone apparentemente normali, che avevano una famiglia, un lavoro, una casa, ma che online si trasformavano in terribili e spietati Internet Haters (I.H.). Iniziò così la sua ricerca in questo mondo. Lavorò per ben tre anni all’interno di questo universo e alla fine realizzò un interessante documentario che prevede l’intervista dal vivo di queste persone anche per vedere se, intervistate dal vivo e offline, avrebbero espresso lo stesso odio e la stessa intolleranza nei confronti di quello che normalmente attaccavano con i loro commenti online.
Lien individuò i commentatori più estremisti e che frequentavano internet più assiduamente; iniziò a contattare diverse di queste persone che per ben tre anni aveva seguito online. La maggior parte di loro, però, non fu disposta a farsi intervistare dal vivo e con una telecamera. Già questo dato è interessante proprio perché l’elemento del rimanere anonimi, in una posizione da pavidi, viene confermata dai contatti e dalle risposte che Lien ebbe via internet da queste persone.
Solo pochi di loro si resero disponibili ad essere intervistati e ripresi da Lien con una telecamera, e sono per lo più quegli Internet Haters (I.H.) che hanno delle apparenti “ragioni” di odio verso determinate categorie di persone o di classi sociali. In sintesi, le “ragioni” di queste persone che hanno accettato di essere intervistate, appartengono alle categorie che abbiamo definito con motivazioni razziste o xenofobe.
Lien, dopo aver conosciuto personalmente gli Internet Haters (I.H.) che si sono resi disponibili per il suo documentario, dopo essere stato nelle loro case, dopo aver parlato con loro ed essersi confrontato rispetto ai temi di odio, dopo aver girato le riprese, ha fatto alcune interessanti considerazioni su queste persone conosciute realmente: «Moltissime di queste persone vivono nella solitudine, sono consapevoli che la società le ha tradite e lasciate ai margini. Molte di queste persone sono state vittime di bullismo. Alla fine – continua Lien – ho imparato che queste persone sono in grado di cambiare se noi li aiutiamo a cambiare. Non possiamo chiudere gli occhi e pretendere che queste persone non esistano se vogliamo cambiare il modo di discutere e di comunicare online. È importante ascoltare queste voci, adesso
Credo che le parole di Lien, dette in modo spontaneo e senza sovrastrutture culturali interpretative di stampo sociologico o clinico, siano le migliori per chiudere questo articolo sugli Internet Haters (I.H.), che lascia chiaramente tanti punti di domanda e tante questioni aperte per ulteriori confronti e discussioni che – spero – vengano ripresi e stimolati dai lettori con i loro commenti su questo articolo, ma anche da altri studiosi e ricercatori.
Il presente scritto è inserito in un Saggio, ben più vasto, che coglie ed evidenzia tutti gli “istinti”, per lo più repressi, che questo potente strumento di comunicazione collettiva – Internet – riesce a scatenare in molti utenti, spesso insospettabili, trasformandoli in “serial”…
Il Saggio affronta anche altri temi quali:
Internet Lovers;
Sex extortion;
Ultras da tastiera;
ecc…
Ringraziamo vivamente Andrea Giostra realizzatore del Saggio alla stesura del quale hanno contribuito:
Roberta Arnone, scrittrice, attrice, reader influencer;
Paolo Battaglia La Terra Borgese, critico d’arte;
Joey Borruso, giornalista, blogger, reader influencer;
Ester Campese, pittrice, blogger, reader influencer;
Daniela Cavallini, giornalista, esperta in formazione risorse umane;
Maria Celesia, lettrice, blogger, reader influencer;
Mirko Cervelli, giornalista, opinionista;
Andrea Giostra, psicologo, blogger, esperto in comunicazione;
Cristina Pace, Cris alias Krilli, blogger, traduttrice, scrittrice, reader influencer;
Anna Profumi, scrittrice, blogger, reader influencer;
Laura Tarani, psicologa, giornalista, blogger, reader influencer;
Emanuela Trovato, attrice, coach di voce e comunicazione, trainer per la formazione manageriale;

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