Un poderoso commento di Andrea Giostra che non limita la sua penna ad una consueta e prevedibile recensione dell’opera libraria Seraphitus-Seraphita dell’autore Franco Salvatore Grasso.
Il commento è dir poco completo, spazia ben oltre i confini del romanzo, lo colloca magistralmente nel periodo storico-artistico-sociale descritto dall’autore, amplia la visione del lettore portandolo a percorrere altre vie o chiavi di lettura dell’opera.
Pregevole Seraphitus-Seraphita recensione di Andrea Giostra che riportiamo integralmente seguendo il link:
Nella brillante e sfarzosa atmosfera della “Belle Epoque” un giovane cuoco siciliano, Salvatore, si trasferisce per necessità di lavoro dal suo minuscolo paesino in una cittadina posta a nord dell’Impero Tedesco. Qui entra al servizio di un curioso, tenebroso ed inquietante personaggio quale è il proprietario di un isolato ed antico castello nobiliare.
Nonostante la propria abilità culinaria dimostrata ed apprezzata dal proprietario del maniero, il rapporto personale instaurato fra loro è decisamente morboso ed ambiguo; la vita del giovane è pervasa e dominata dal padrone, una sorta di vampiro, il quale invece che di sangue si nutre esclusivamente di amore sublimato a tal punto da conseguire un’esistenza connotata dalla purezza perfetta.
In conseguenza di tutto ciò il ragazzo stesso è catapultato in numerose rocambolesche avventure, colme di turbamenti sentimentali, imprese militari e sofferenze familiari.
Questa è la Sinossi dell’opera libraria “Seraphitus-Seraphita” scritta dal nostro autore Franco Salvatore Grasso, siciliano purosangue.
Seraphitus – Salvatore
L’autore ci accompagna nel lungo e difficoltoso viaggio che Salvatore compie dal piccolo ed isolato paesino della Sicilia alla magnificenza del castello nobiliare del barone Seraphitus nei pressi della città di Magbeburg.
Inizia così per Salvatore una nuova vita, una nuova esistenza che non pensava potesse esistere, nuove sensazioni, nuove inimmaginabili esperienze che lo trascinano in situazioni e stati d’animo fino ad allora sconosciuti e – dai quali – è attratto e avviluppato.
L’amore gli si presenta all’improvviso, inaspettato e coinvolgente donatogli da una enigmatica figura femminile.
Gli avvenimenti descritti dall’autore conducono Salvatore sui campi di battaglia della Grande Guerra dove vive momenti di gloria.
Tutto però ha una fine rappresentata dalla fine della vita terrena del barone Seraphitus che lo riconducono – seppur con infinite difficoltà – al suo paese di origine.
Con un magistrale “passaggio nel tempo” l’autore ci fa vivere gli ultimi momenti terreni di Salvatore circondato dall’affetto dei suoi familiari ma, sui quali, troneggia e guadagna la scena l’immortale presenza di Seraphitus.
Non vogliamo togliere il piacere della lettura dell’opera e di apprezzare la semplicità dell’esposizione, mai banale, scritta con linguaggio elegante come ci si aspetta da uno scrittore di ricca e vasta cultura quale è Franco Salvatore Grasso.
Il libro è stato da noi presentato alla Fiera Internazionale del libro di Francoforte 2016 ricevendo ottime critiche da parte degli operatori letterari ed una emozionante intervista con l’Assessore allo Sviluppo Economico e Attività Produttive, Guido Fabiani.
Seraphitus-Seraphita pag. 93 Euro 14,00 edito da La Macina Onlus Editore
(sconto 10% e spese di spedizione a carico dell’Editore)
I bombardamenti nucleari che portarono alla fine della guerra tra il Giappone e gli Stati Uniti d’America hanno un prologo che, fino a pochi mesi fa, non era conosciuto al mondo non-diplomatico e al grande pubblico internazionale.
Un prologo eroico e disumano al contempo, patriottico e dissacratore, crudele e cinico.
Come in tutte le guerre.
Come in tutti i conflitti che fanno della morte di uomini e donne una inevitabile conseguenza; inevitabili danni collaterali.
Ebbene, in questa incredibile storia proiettata nelle sale italiane dal 19 luglio 2017, è l’incrociatore USS Indianapolis della marina americana con tutto il suo giovane equipaggio che ne è il vero protagonista e vittima sacrificale di un ben più ampio e supremo interesse della nazione americana..
Quello che gli americano definirono “il carro armato galleggiante” venne sacrificato scientemente dal massimo rappresentate del popolo statunitense per salvare il territorio americano dalla ferocia nipponica che, il 7 dicembre del 1941, aveva già dato prova colpendo impietosamente la più importante e munita base navale della marina U.S.A nel Pacifico: Pearl Harbor.
Il segreto carico trasportato dalla USS Indianapolis, costituito da parti che sarebbero servite all’assemblaggio della bomba atomica che distrusse Hiroshima, fu affidato dal comandante in capo dell’esercito americano al capitano Charles Butler McVay (Nicolas Cage).
Era segreto di stato e sarebbe servito a porre perentoria fine ai previsti attacchi nipponici sul suolo americano.
Il seguito della narrazione è un susseguirsi di vigliaccherie politiche e di personaggi pusillanimi decorati di guerra, di cinici potenti e di vittime sacrificali in nome, più che della patria, della salvaguardia del potere degli sciacalli di turno; soppiantarono disinvoltamente l’onore e la fedeltà mostrando tutta la loro codardia.
Basta questo perché gli appassionati della vita, della lealtà e del mare abbiano un ottimo motivo per ammirare USS Indianapolis, bella, crudele ed intensa narrazione hollywoodiana.
Regia di Mario Van Peebles.
Con Nicolas Cage, Tom Sizemore, Thomas Jane, Matt Lanter, Weronika Rosati.
Tra le molteplici attività che sono proprie di una Casa Editrice riteniamo siano di estrema importanza e, aggiungiamo, di responsabilità, la valutazione delle opere pervenute dagli autori per l’eventuale pubblicazione nonché l’esprimersi con una libera ed obiettiva recensione di opere pubblicate da altri Editori.
Non sempre i nostri commenti hanno incontrato le “non espresse” speranze degli autori ma, tutti coloro che abbiamo avuto il piacere di incontrare e con i quali confrontarci, hanno pienamente recepito il nostro messaggio di rigorosa correttezza, sincerità ed equilibrio di valutazione.
Siamo consapevolmente certi che nessun recensore abbia “il diritto” di “giudicare” l’opera in esame; solo il lettore ha questa facoltà.
E’ importante la premessa fatta perchè ci accingiamo a commentare l’opera “Novelle brevi di Sicilia” scritto dal prolifico autore Andrea Giostra e, aggiungiamo noi, purtroppo, autopubblicatosi per sua rispettabile scelta.
Ci piace sottolineare che Andrea Giostra spazia dal racconto al breve ma incisivo brano che tratteggia, come un dipinto, frammenti di vita siciliana a lui tanto cara; egli si addentra con la capacità di acuto osservatore anche in interviste letterarie e in recensioni cinematografiche.
Scrittore poliedrico e di classe.
“Novelle brevi di Sicilia”
Gli auguri di mia nonna ottantenne
E’ una scrittura riccamente dettagliata, piana, agevole nella lettura con un linguaggio raffinato ma comunque facilmente fruibile e che si lega, armoniosamente ed inaspettatamente, ad un linguaggio quotidiano parlato da tutti noi.
L’autore è sempre presente in tutti i racconti anzi ne è il protagonista invisibile e – questa capacità – testimonia l’attitudine all’utilizzo duttile della lingua italiana.
Sorprendente la figura della nonna ottantenne prodiga di buoni consigli che il suo ruolo e la sua età indurrebbero a trasmettere al nipote mentre – invece – lo incita, accoratamente, a godersi quanto più possibile la gioventù.
E’ pregevole l’utilizzo di un linguaggio estremamente attuale ed in lingua siciliana della nonna: “e di tutto il resto futtitinni”; notevole l’alternanza linguistica!
“Novelle brevi di Sicilia”
Agosto a Palermo
Uno spaccato di vita che ci immerge in una realistica conversazione che avviene alla vista di un funerale; sono le domande che sorgono spontanee a tutti noi “ma comu muriu?”, “comu fu?” alternando sapientemente– nel racconto –il perfetto italiano ed il dialetto; ben pochi autori raggiungono un così delicato equilibrio.
L’opera “Novelle brevi di Sicilia” contiene 14 racconti: gradevoli, ammiccanti, alcuni passionali ma tutti capaci di creare l’atmosfera siciliana ma non solo, facilmente apprezzabili e godibili dai “continentali”.
“Il senso, la morale, se c’è un senso o una morale da dare li darà il lettore che le leggerà” ; questo è il vero senso delle opere di Andrea Giostra che, guarda caso, corrisponde pienamente al nostro comportamento come Casa Editrice: l’unico giudice è il lettore.
Andrea Giostra, un autore di rilievo, emozionale, con uno spessore culturale inusuale e di superiore qualità, da non perdere l’opportunità di godere delle sue opere.
LA STORIA SIAMO NOI: Era la solita ora, pomeriggio inoltrato e nelle vie assolate di un povero paese della Sicilia si ripeteva lo stesso rituale: tre bambini avevano più o meno finito di fare i compiti ed erano sull’uscio di casa, pronti a fare qualsiasi cosa fosse loro chiesto pur di avere poi il permesso per andare a giocare a pallone, nella piazzetta antistante la chiesa.
Le mamme brontolavano ma erano maschietti e lo sport li aiutava a scaricare la loro vivacità e a farsi degli amici. Cosi Erasmo, Giuseppe e Gaetano si riunivano, strada facendo, e giù a rotta di collo, lungo la via acciottolata, con il rischio di percorrerla a capitombolo, se uno dei tre avesse perso il passo. La verità che raccontavano era tale solo in parte: si recavano sì nella piazzetta ma per andare al “Circolo dei Reduci”.
Era una casa a piano terra, malandata, dove seduti su delle sedie poco stabili c’erano i vecchi del paese, quelli che erano la sua storia, che erano andati in guerra ed avevano avuto la fortuna di tornare. Tre di loro portavano gli stessi nome di quei ragazzi dei quali erano i nonni. Un’insegna di cartone, attaccata alla porta con lo spago e che regolarmente cadeva quando c’era vento, spiegava a chi aveva la fortuna di sapere leggere, che coloro che si riunivano in quella casa erano uniti da un passato di eroismo e di battaglie che, tenuti in vita dalle parole, erano diventati ricordi.
Tutti e tre avevano servito la loro Patria, ognuno in modo diverso dall’altro ma con lo stesso patriottismo e lo stesso coraggio. Quasi tutti avevano un bastone a cui si appoggiavano per alzarsi, le ferite di guerra parlavano ancora e l’intensità del dolore non permetteva loro di dimenticare. In quella misera stanza, ogni giorno, si consumava la liturgia del racconto ed erano diventati così bravi che se uno si fermava perché quasi soffocato dal fumo del sigaro, ripetutamente aspirato e spento, l’altro continuava anche per lui.
Le donne non capivano questa necessità di parlare sempre del passato, soprattutto ai ragazzi che potevano rimanere turbati.
Ma i vecchi erano testardi e sapevano che credere in qualcosa significava lottare perché non sia dimenticata. Così i ragazzi si accovacciavano ai loro piedi e, in religioso silenzio, ascoltavano quello che tre giovani soldati avevano fatto nella seconda guerra mondiale per farli nascere in una terra più libera. Erasmo era stato ben cinque anni in guerra, spesi in parte a combattere e in parte prigioniero degli Inglesi che gli avevano rubato l’infanzia dei suoi figli. Giuseppe era il più malridotto dei tre: arruolato fresco di laurea, fu mandato in prima linea, al comando di un drappello di uomini coraggiosi. Era il primo ad andare all’assalto e l’ultimo a rientrare. Già, perché allora si combatteva così, corpo a corpo ed a fermarti erano solo le bombe o la morte. Tutte le volte che rientravano da un’operazione, Giuseppe contava i suoi uomini e, se qualcuno mancava all’appello, si tornava indietro a cercarlo, vivo o morto. Durante una ritirata, ormai sopraffatti dalla superiorità numerica del nemico, fu individuato e, mentre correva, per sfuggire alle bombe che piovevano dall’alto ed al fuoco di una mitragliatrice che si faceva strada tra gli alberi, saltò dentro un pozzo dove riuscì, fortunatamente, a trovare un appiglio: era un arbusto dalle profonde radici che lo sosteneva mentre le sue gambe, ferite, penzolavano inerti dentro l’acqua di un inverno ghiacciato. Quella notte – Giuseppe pensò – che fosse l’ultima e proprio mentre lasciava andare le mani, ormai ferite per la lunga presa, prima di perdere i sensi sentì una voce che gridava:« Venite, qui c’è il Capitano.» Lo salvarono ma le sue gambe rimasero per sempre indolenzite.
LA STORIA SIAMO NOI
Gaetano era il più giovane dei tre e il suo amor patrio era pari alla sua voglia di vivere e divertirsi. Era sbadato e fu grato a Dio quando fu assegnato alla foresteria, lontano dal fronte dove sarebbe andato incontro a morte sicura. Il minimo rumore di combattimento lo disorientava al punto da fargli mollare qualunque comando stesse eseguendo per rifugiarsi in qualche posto più sicuro.
Quando arrivò ala conclusione che nessuna guerra poteva essere la sua, decise di accorciare i tempi e si cacciò uno spicchio d’aglio dentro un orecchio. La paura aveva vinto sul coraggio ma spese notti intere a scrivere messaggi da recapitare ai familiari per quei feriti che non sarebbero più tornati.
Si procurò un’otite purulenta ed il Comando fu costretto a rimpatriarlo perché il timpano si danneggiò a tal punto da rimetterci l’udito. Le tasche della sua divisa, sopravvissuta anch’essa alla guerra, erano piene di bigliettini e, laddove fu possibile, arrivarono a destinazione. Tutti e tre erano partiti perché quando la Patria chiama il dovere impone di andare, ma in guerra ti misuri con te stesso oltre che con il nemico e, quando torni, ti accorgi che le macerie non sono solo fuori ma anche dentro di te. Questo volevano far capire ai loro nipoti: la guerra è decisa da uomini, combattuta da uomini e pianta da madri che perdono i loro figli, da mogli che perdono il loro marito e da figli che non conosceranno mai i loro padri. E così sarà finché l’uomo farà prevalere la violenza sulla parola, l’odio sull’amore, il proprio interesse su quello comune.
I ragazzi li ascoltavano a bocca aperta mentre, con gli occhi, inseguivano le immagini della mente. Il libro del tempo, poi, mosso dal vento della vita, sfogliò le sue pagine e quel vecchio Circolo divenne un luogo in cui tre giovani, assieme a coloro che credevano negli stessi ideali, combattevano una battaglia civile, senza bombe ma con l’uso della parola, rivendicando la libertà di espressione ed il rispetto dei diritti di tutti. Non c’erano più reduci e s’impegnavano perché nessuno potesse più definirsi tale.
A tarda notte, l’ultimo che chiudeva la porta, soprattutto quando c’era vento, alzava gli occhi a guardare l’insegna, tenuta salda dalla loro ispirazione, dal giusto equilibrio tra coraggio e ragione, dall’aver trovato un legame tra stimolo e risposta.
Qualcuno aveva loro detto che le idee sono quanto di più sacro l’uomo abbia e nessuno ha il diritto, in nome di nessun principio, di negargliele.
La Storia aveva dimostrato che quando questo principio era stato dimenticato, all’uomo era stata negata qualsiasi forma di libertà e, quindi, la vita.
La civiltà di un popolo si misura dalla sua capacità di crescere senza uccidere.
Era notte, i lampioni illuminavano la strada con spicchi di luce che sommati a quella di una grande luna, proiettavano, accanto ad ognuno la sua ombra, in compagnia della quale si ritornava a casa.
Come per un attimo Gaetano si sentì accanto qualcuno, si girò e si illuse di vedere tre vecchi, che con il loro sdentato sorriso, dicevano :« Bravi ragazzi, non siamo vissuti per niente se avete capito che La Storia siamo NOI.
Ringraziamo sentitamente l’autrice del racconto “La Storia siamo noi” Caterina Guttadauro La Brasca.
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