Peggy Guggenheim: una vita per l’arte

“Peggy Guggenheim: art addict” è il titolo del nuovo documentario di Lisa Irmondino Vreeland in uscita domani nelle principali sale cinematografiche italiane. Per lei l’esordio dietro alla macchina da presa risale a quattro anni fa quando, cimentandosi per la prima volta nella creazione di qualcosa del genere, portò sul grande schermo, per la gioia di tutti gli appassionati del settore, la storia di un’icona della moda: con “Diana Vreeland: The Eye Has to Travel” ha aperto una finestra sulla vita e la carriera di una delle giornaliste e pilastri del mondo del fashion, nonché nonna di suo marito.

Locandina Peggy Guggenheim
Quest’anno torna con l’obiettivo di fare lo stesso regalo ai fanatici dell’arte raccontando la storia di una donna che ha fatto del collezionismo lo scopo della propria esistenza. Il film racconta le affascinanti vicende della vita dell’eccentrica mecenate Marguerite, Peggy, Guggenheim attraverso le sue stesse parole: basato sull’unica biografia autorizzata, il libro di Jacqueline Bogard Weld “Peggy: The Wayward Guggenheim”, la pellicola prende spunto ed insieme sostanza da una vecchia registrazione che la stessa Weld credeva fosse andata perduta; è grazie alla voce di Peggy che tutto il progetto si anima e si realizza, anche attraverso l’alternarsi di documenti originali e interviste appositamente realizzate per delineare il profilo di una donna all’avanguardia.

Figlia di Benjamin Guggenheim e Florette Seligman, Marguerite nasce a New York nel 1898 in una famiglia che aveva costruito la sua fortuna lavorando nell’industria del metallo. Dapprima la morte del padre nel naufragio della nave Titanic, poi quella dell’amata sorella, costituiscono il fondamento tragico della sua infanzia e del suo carattere ribelle. Le due guerre mondiali, e in mezzo il fermento culturale che hanno caratterizzato i primi cinquant’anni del ventesimo secolo, hanno fatto il resto nel dare forma al carattere di un personaggio che ha svolto un ruolo centrale nella nascita e nell’affermazione di tutte le avanguardie artistiche a lei contemporanee. Peggy non collezionava soltanto l’arte, ma anche gli artisti: le sue vicende personali hanno visto entrare a far parte della sua vita per frequentazioni, affari o matrimoni, figure come quella di Samuel Beckett, Max Ernst, Jackson Pollock, Marcel Duchamp e molti altri. Nonostante fu costretta a lottare per fronteggiare le difficoltà della sfera privata, riuscì fortunatamente a mantenere sempre alta l’attenzione sul mondo a lei circostante, abilità che le permise di costruire una delle più importanti collezioni d’arte moderna del mondo.

Caravaggio a Roma: opere da vedere gratis

caravaggio_crocifissione san pietro

Caravaggio (1571-1610), al secolo Michelangelo Merisi, visse e lavorò a Roma per circa dodici anni: un periodo per certi versi oscuro, data la sua vita dissoluta fatta di risse, guai con la legge, persino un omicidio, ma sicuramente prolifico dal punto di vista artistico.

Oggi la fama di Caravaggio è mondiale, fortemente rivalutata e riscoperta in età moderna: alcune sue opere sono purtroppo andate perse, altre fanno parte di collezioni private, molte si trovano in giro per l’Italia, ma anche a Vienna, Madrid, Berlino e Stati Uniti. Una consistente parte, però, è ancora nella capitale e molti non sanno che esiste un “itinerario” che consente di ammirarne ben sei, dislocate in tre Chiese situate tra Piazza di Spagna e Piazza del Popolo: un percorso che permette di godere di queste bellezze in modo gratuito, senza fare file e immersi nel silenzio.

È un tour davvero interessante anche perché queste tre chiese hanno accolto le sei tele sin dall’inizio, sono quelle per cui furono commissionate e dipinte, senza mai essere spostate.

Partendo dalla Chiesa di Santa Maria del Popolo, nella Cappella Cerasi si possono ammirare la Conversione di San Paolo (1601) e la Crocifissione di San Pietro (1600-01). Realismo, attenzione al dettaglio, forte umanità dei personaggi, dinamismo, drammaticità e utilizzo della luce sono i tratti fondamentali delle composizioni.

Proseguendo verso Via della Lupa si incontra un luogo dove Caravaggio fu protagonista di una delle tante scorribande che caratterizzarono la sua permanenza a Roma: in quella strada, apprendiamo da deposizioni dell’epoca, si trovava l’ Osteria della Lupa, dove il pittore ebbe uno scontro con uno degli inservienti, che rimase ferito.

Spostandosi verso il Vicolo del Divino Amore (ora Vicolo di San Biagio) si può vedere, al civico 19, la casa in cui il Caravaggio soggiornò e dove realizzò molte delle sue opere.

Andando avanti in Via della Pallacorda si può calcare lo stesso suolo dove il pittore si trovò coinvolto in un violento litigio con tale Ranuccio Tomassoni, che ci rimise la vita: episodio, questo, che costrinse il Merisi a lasciare Roma.

Si arriva così, attraversando Via della Scrofa, dove erano situate le botteghe più frequentate dall’artista, alla Chiesa di Sant’Agostino, dove sulla cappella sinistra (dedicata alla Madonna di Loreto) si può ammirare la Madonna dei Pellegrini (1604-1606). L’opera destò non poco scalpore, considerando che nelle sembianze della Madre di Gesù tutti riconobbero una prostituta dell’epoca, Lena, scelta da Caravaggio come modella (per questa, come per altre tele, come la Madonna dei Palafrenieri): la rappresentazione per cui opta il Merisi è straordinariamente nuova e d’impatto, diversa dall’iconologia cui si era abituati. Una Madonna con la veste scollata, dalle movenze sensuali, una postura che ricorda quasi quella di una cortigiana, per l’appunto. Inoltre nessun accenno vi è alla leggenda secondo cui la casa di Maria fu portata in volo dagli angeli fino a Loreto: qui Lei appare ferma sull’uscio, vestita da popolana, ai suoi piedi due pellegrini dalle vesti sporche e sdrucite.

Infine, da lì, spostandosi alla Chiesa Nazionale di Francia San Luigi dei Francesi, si possono visionare, nella Cappella Contarelli, tre opere meravigliose del Caravaggio: Vocazione di San Matteo (1599-1600), San Matteo e l’Angelo (1602) e il Martirio di San Matteo (1602), ciclo commissionato dal cardinale francese Mathieu Cointrel (italianizzato in Matteo Contarelli).

Nella prima il realismo, i significati allegorici e la luce la fanno da padroni: diverse le interpretazioni circa l’identità di San Matteo, che potrebbe essere sia la figura intenta a contare i soldi che quella accanto, col dito puntato.

Grande umanità e drammaticità anche ne Il martirio di San Matteo, rappresentato con grande carica emotiva.

Nel San Matteo e l’Angelo  vediamo il Santo intento nella scrittura, guidato e ispirato dall’Angelo, mentre poggia incerto su uno sgabello quasi in bilico, a rappresentare forse l’incertezza della condizione umana e la stessa incertezza e difficoltà di Matteo.

 

Scrisse il critico d’arte Victor Schoelcher:

“Non è l’assenza di ogni difetto, ma la presenza d’eminenti qualità, che costituisce un temperamento e perfino un genio. Certi uomini, capaci di una foga indomabile, non possono rassegnarsi all’impeccabile saggezza della mediocrità. Tra questi, Caravaggio”.

Teatro ed impegno sociale: la parola ad Isabel Russinova

Fare informazione non è semplice, soprattutto quando si tratta di argomenti come quello dei matrimoni forzati e precoci; sensibilizzare le coscienze intorpidite dalla sovraesposizione mediatica è un compito ancora più arduo. Amnesty International Italia, in collaborazione con l’Università degli Studi di Roma Tre, ha voluto ed è riuscita a farlo attraverso una campagna che, tra gli altri, ha saggiamente sfruttato tutta la potenza comunicativa del teatro per raggiungere questo scopo. Isabel Russinova, in qualità di testimonial dell’organizzazione, per supportare questa iniziativa ha messo a disposizione tutto il talento e l’esperienza di un’artista che, attrice professionista da molti anni, ha dimostrato quanto ancora si possa fare sfruttando la magia dell’interpretazione.

La intervistiamo per farci raccontare come ha vissuto questa esperienza.

ISABEL RUSSINOVA
A una settimana di distanza dalla ricorrenza della festa della donna è salita sul palco del Teatro Palladium di Roma per interpretare “Safa e la sposa bambina”, un racconto tristemente ispirato alla storia vera di una donna siriana. Il tema della condizione femminile nei paesi devastati dalla guerra del Medioriente è tanto scottante quanto attuale, anche se poco presente nei discorsi dei media generalisti. Quali sono stati i vantaggi e quali le difficoltà di parlarne alla maniera del teatro?

– La scrittura teatrale permette di animare personaggi e storie focalizzando sentimenti, drammi e ansie: il protagonista compie azioni, ricorda e descrive anche le proprie emozioni. Questo lo avvicina a chi ascolta e così qualcosa di quel personaggio, di quella storia, entra dentro di noi e finisce per appartenerci: possiamo riconoscere la sua sofferenza, la sua ansia, la sua disperazione, percepirla sulla nostra pelle tanto da sentirci vicini alla sua realtà. È così che si può riuscire a sensibilizzare il pubblico alle tematiche che si vogliono trattare. Non è sempre un’impresa facile, ma il cinema, il teatro, la musica, la letteratura e le arti figurative sono i più alti e unici strumenti che l’uomo ha per fissare la memoria, i fatti e i personaggi dell’umanità da sempre.
L’informazione svolge un ruolo molto importante e la rete ci permette di poter sapere, vedere, sentire e parlare di tutto e con tutti. Le televisioni generaliste propongono, ma siamo noi a scegliere e a decidere.
I telegiornali e i settimanali di approfondimento occupano i palinsesti, si intervista, si parla, di tanto, di tutto e di tutti, si mostrano immagini, ma alla fine la distrazione, l’abitudine, la svogliatezza inghiottono molto e poco rimane impresso, e quello che rimane a volte è distante dalla realtà, diventa quasi fiction.
Il teatro, il cinema, la letteratura e la musica possono avere la forza di scaraventarci proprio lì, in mezzo all’azione, accanto al protagonista, per sentire il cuore in gola, gli occhi lucidi, le mani sudate. La cultura è il più efficace strumento che l’uomo ha per difendersi.

Vestire i panni di una donna siriana che ha vissuto un simile dramma deve essere stato difficile ma allo stesso tempo utile ad assumere un punto di vista più interno, se vogliamo, alla questione. Cosa le ha insegnato Safa?

– Safa è una donna che ha perso tutto, l’amore, la maternità, la serenità: è rimasta sola. È terribile. Come Safa ci sono milioni di donne oggi, da sempre, ma lei, come tutte quelle che sono venute prima di lei, va avanti, cercando di dare dignità a quello che resta della sua vita, quella stessa vita che sembra le abbia voltato le spalle .
Ecco, storie come questa ci danno la possibilità di percepire cosa è davvero importante ci fanno vergognare quando osserviamo, invece, quanto valore si dà al “nulla”, alla futilità, all’apparenza. È importante raccontare storie come questa, soprattutto ai giovani, in modo da stimolare la loro coscienza, il loro pensiero critico e la curiosità per la conoscenza.

Il racconto della protagonista di queste tragiche vicende si svolge nell’arco di una notte. Giochi di luci ed ombre, accompagnati dall’alternarsi di una dolce musica al il rumore della pioggia, hanno creato una tensione narrativa che ha reso il monologo estremamente intenso per tutta la sua durata. Come ha affrontato la sfida posta da questa particolare tecnica teatrale?

– Il racconto di una storia è come la vita, dove la pioggia, il canto del vento, l’oscurità misteriosa della notte, la grazia del sole e il cinguettio degli uccelli ci accompagnano giorno dopo giorno, misteriosi , discreti o prepotenti: sono loro che sottolineano, colorano o annullano la nostra storia; e così quando siamo noi a raccontarne o ad inventarne una, dobbiamo farci aiutare da loro per descriverla al meglio.

Prima di supportare “Mai più spose bambine”, la campagna di Amnesty International per combattere il fenomeno dei matrimoni precoci e forzati, aveva già collaborato con questa organizzazione partecipando alla realizzazione del docufilm “Il Popolo di re Heruka! – Storia del popolo di re Heruka, un popolo antico che amava l’acqua e sfidava il vento”, proiettato durante un evento volto ad approfondire la conoscenza e la comprensione del popolo rom. Qual è il valore che attribuisce al ruolo dell’arte nella lotta per il sociale?

– Si, come testimonial ufficiale di Amnesty ho realizzato diversi progetti. “Il popolo di re Heruka” è uno di questi: una ballata tra teatro e documento atto a raccontare la storia del popolo rom. Vorrei anche ricordare “ Una donna spezzata”, toccante monologo di Simon de Beauvoir, madre del femminismo moderno, che da tempo propongo e fa parte del mio repertorio e che è stato appena pubblicato anche in versione dvd. Inoltre “Briganta”, un mio testo per il teatro ispirato alla storia di Rosina Donatelli Crocco, sorella del generale dei briganti Carmine Crocco: il brigantaggio è un momento importante nella storia della liberazione donna del nostro Ottocento.

Leggendo la sua biografia emerge che l’incontro con Rodolfo Martinelli Carraresi, agli inizi degli anni ’90, ha rappresentato un punto di svolta per la sua sfera privata (lo definisce “compagno di vita”), ma anche e soprattutto per quella lavorativa: insieme avete fondato la società di produzione “Ars Millennia” e la casa della Drammaturgia Contemporanea Internazionale “Bravò”. Come sono nati questi progetti divenuti importanti realtà?

– Tra noi c’è una grande affinità elettiva, una buona sintonia che ci ha portato ad essere compagni di vita da quasi 25 anni. Grande rispetto e libertà reciproca ci hanno aiutato a scegliere ogni giorno come missione di vita, la nostra famiglia, i nostri figli e i nostri progetti volti al sociale.

“Ars Millennia” si occupa anche di editoria e Isabel Russinova è, inoltre, una scrittrice: in aggiunta a diverse sceneggiature per il cinema, nel 2006 ha pubblicato “Ti racconto quattro storie”, il sua primo libro per ragazzi, e poi, nel 2009, “Antonio, l’isola e la balena”. Cosa ci può raccontare di questa avventura, ancora diversa da tutte le precedenti?

– Amo molto scrivere, raccontare storie, cercare e studiare personaggi che hanno vissuto e dato alti contributi all’umanità nel corso della loro vita e che magari oggi rischiano di essere dimenticati. Attraverso la scrittura, il teatro e il cinema si può dare loro la possibilità di raccontarsi ancora e di lasciare ancora, soprattutto ai giovani, la conoscenza della loro lotta, delle loro imprese e della loro energia. Solo conoscendo bene il nostro passato possiamo costruire il nostro futuro.

Tv, teatro, cinema, libri: premesso che ognuno di essi gode di una peculiarità che lo rende unico ed incomparabile, qual è il canale espressivo che preferisce?

– Amo costruire progetti capaci di raccontare storie e lasciare un messaggio, animare personaggi e la loro vita, indipendentemente dal linguaggio. Alla fine si può dire che è la storia a scegliere il suo percorso e il suo linguaggio.

Su quale progetto futuro può fornirci qualche anticipazione?

– Stiamo lavorando sul montaggio del film che abbiamo appena finito di girare e che porterà la nostra firma: “L’incredibile storia della signora del terzo piano”, un’amara favola contemporanea. Il progetto sarà pronto il prossimo anno.

Oscar 2016: premiati Morricone e Di Caprio

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Leonardo Di Caprio vince l’Oscar 2016 come Miglior attore protagonista, grazie alla sua intensa interpretazione in “The Revenant”, il film di Alejandro González Iñárritu, a sua volta premiato come Miglior regista. Fa dunque il bis il regista messicano, che nel 2014 aveva conquistato la preziosa statuetta grazie al film “Birdman”.

A una settimana circa dalla serata di premiazione Di Caprio era dato, dai bookmakers, a 1,02: un Oscar sicuro, insomma. Ma la beffa è dietro l’angolo, insegna la storia degli Oscar, e ancora di più, l’esperienza dello stesso Di Caprio, arrivato ad un passo dall’agognata statuetta più di una volta.

Questa era la quinta nomination per l’attore 41enne, che ha fatto tanta strada da quando, ragazzino, esordì nell’indimenticabile e pluripremiato “Titanic”. Sembrava che una maledizione si fosse abbattuta su di lui, tanto da diventare negli anni oggetto di affettuoso scherno sui social network. Nei giorni scorsi erano circolate parodie di ogni tipo, in attesa del fatidico verdetto.

L’ambito riconoscimento arriva dopo la mancata vittoria nel 1994 (con “Buon compleanno Mr Grape”), nel  2005 (con “The Aviator”), nel 2007 (con “Blood Diamond”), nel  2014 (con la magistrale, eppure non abbastanza, interpretazione in “The wolf of Wall Street”).

Per Iñárritu, Leonardo Di Caprio  ha vestito i panni del cacciatore di pelli Hugh Glass: un ruolo che ha richiesto notevole studio ed impegno, sforzi fisici al limite della sopportazione umana. Ha recitato con la febbre alta, ha sfidato le bassissime temperature dei luoghi delle riprese (fino a 40 gradi sotto zero), ha portato la barba lunga ed incolta per mesi: una dedizione estrema, la sua, che ha trovato il giusto riconoscimento.

Emozionatissima, al momento della consegna del premio, l’amica di sempre, colei con cui Di Caprio condivide, nel vero senso della parola, i suoi esordi cinematografici: l’attrice, anche lei premio Oscar e anche lei nel cast di “Titanic” come protagonista, Kate Winslett.

La concorrenza quest’anno era spietata, ma forse nemmeno troppo. In nomination con lui anche Eddie Redmayne, per la sua toccante interpretazione nel film “The danish girl”: l’attore, però, ha (meritatamente) vinto l’Oscar proprio lo scorso anno, quando ha vestito i panni di Stephen Hawking, in “La teoria del tutto”.

Premio annunciato anche quello di Ennio Morricone, vanto italiano nel mondo: nella sua sfolgorante carriera il maestro non era ancora riuscito a vincere l’Oscar, eccezion fatta per quello alla carriera nel 2007. Carriera, la sua, costellata di riconoscimenti, grandi successi, collaborazioni di ogni tipo. L’ultima, quella decisiva, con Quentin Tarantino: la colonna sonora scritta per lui, per il suo “The Hateful Eight”, lo ha portato all’ambito riconoscimento, all’età di 84 anni. Anche Morricone aveva più volte schivato di pochissimo la vittoria agli Oscar: cinque, le nomination non andate a buon fine.

“Non c’è musica importante se non c’è un grande film che la ispiri, ringrazio quindi Quentin Tarantino per avermi scelto e il produttore Harvey Weinstein e tutta la troupe del film. Dedico questa musica e questa vittoria a mia moglie Maria”, ha detto commosso il maestro sul palco.

 Gli altri premi

Alicia Wikander si è aggiudicata il premio come Miglior attrice non protagonista, Mark Rylance quello come Miglior attore non protagonista. Il Premio Oscar 2016 per il Miglior film è andato a “Spotlight”, a “Inside Out” quello per la categoria lungometraggio animato. Il miglior film straniero è stato, quest’anno, ungherese: “Il figlio di Saul”. Impossibile non tornare con la memoria a due anni fa, quando quel premio fu ritirato  da Paolo Sorrentino per “La grande bellezza”.

I RAGAZZI LEGGONO?

Questa è la domanda che molto spesso ci rivolgiamo: I ragazzi leggono?

Come mai i nostri ragazzi leggono molto meno rispetto agli anni passati?

Certamente il trend negativo è in parte dovuto al costante calo demografico ed al conseguente minore ingresso dei “lettori” nella c.d. fascia di apprendimento della lettura ma, tuttavia, questa prima considerazione non è l’unica motivazione.

Scorrendo il panorama editoriale si riscontra un sostanziale calo dei titoli di narrativa destinati ai ragazzi pur avendo registrato, nel 2014/2015, l’esplosione di titoli che vanno da “Violetta” a “Peppa Pig” fino a “”Hunger Games” ma questo fenomeno, a nostro modesto avviso, è in gran parte dovuto al massiccio “battage” pubblicitario accompagnato da altrettanto massicci eventi TV.

L’ultimo libro di narrativa classica che scalò le vette delle classifiche fu “Harry Potter” della scrittrice britannica J.K.Rowling e, più recentemente,  “After” della scrittrice statunitense Anna Todd.

Tra gli altri autori di successo non possiamo dimenticare John Green e Jamie Mc Guire che sono riusciti ad appassionare i teen ager di mezzo mondo; speriamo non sia solo un momentaneo avvicinamento dei giovani al mondo del libro.

D’altronde, ed ormai è una realtà inoppugnabile, il più potente “competitor” dell’editoria tradizionale è il mondo digitale ed è con questo mondo che l’intero comparto dell’editoria si deve confrontare.

Ormai i nostri ragazzi interagiscono in maniera assoluta in questo mondo (digitale) prima inesistente ma che li rappresenta e rappresenta lo sviluppo del loro orizzonte.

E’ un mondo veloce, immediato, interattivo, anche creativo ma, per contro, sottrae tempo prezioso alla lettura “tradizionale”.

Un po’ come accade anche agli adulti perennemente impegnati sui vari Social.

Forse gli editori hanno supinamente assecondato questa nuova tendenza pubblicando anche libri-gioco che, nella realtà, avevano poco di libri e molto di gioco; questione di nuove tendenze culturali o difesa del fatturato?

Ci rivolgiamo nuovamente la domanda: I ragazzi leggono?

Nell’attuale realtà mediatica la risposta appare negativa.

I ragazzi, che saranno uomini in futuro, dovrebbero avere il loro quotidiano spazio dedicato alla narrativa.

Quale è il ruolo della scuola e dei genitori?

I ragazzi di oggi saranno i lettori di domani e dovrebbero essere quindi “avvolti” dal piacere della lettura che viene trasmesso loro dall’ambiente familiare e dalla scuola.

Se a casa i ragazzi trovano dei libri, se i genitori sono essi stessi dei lettori si crea il benefico effetto del “virus della lettura”; mancando ciò il luogo deputato è la scuola che- purtroppo – non è sempre in grado di promuovere la lettura tra i ragazzi; questo importante compito è spesso affidata alla buona volontà ed allo spirito di dedizione degli insegnanti.

Un plauso particolare merita il meritorio ed ambizioso progetto di lettura , commento e discussione con gli autori, che si svolge all’interno dei plessi scolastici, dal titolo “Libriamoci a scuola” promosso dal MIBACT .

Anche i Social Network potrebbero aiutare la diffusione della cultura del leggere creando comunità, presentando la lettura come un gioco, mettendo in contatto i ragazzi con gli autori attraverso un blog interattivo ecc.

Altro aspetto importante che influisce sull’aumento o sulla diminuzione dei ragazzi lettori è determinato anche dalle politiche sociali e culturali che il Paese si dà; sia i ragazzi che gli adulti leggono in base alla qualità delle proposte culturali a loro dedicate.

Non possiamo frettolosamente affermare “i giovani non leggono” quando gli adulti leggono ancora meno negando così – nella sostanza – il valore che merita l’esercizio della lettura.

La politica culturale deve essere di qualità, diffusa e condivisa, deve infiltrarsi con pazienza e lungimiranza in tutti gli strati sociali, costantemente.

Solo così, con una offerta di proposte qualitativamente eccellenti, presentate con serietà e passione e principalmente seguite nel tempo, potremo contare nel futuro su una società migliore.

Allora ci riproporremo la domanda: I ragazzi leggono?

Con orgoglio diremo Si.