Scintille Rossi-Marquez

Marquez

Ancora scintille tra Valentino Rossi e Marc Marquez, protagonisti di un duello non proprio in punta di fioretto sulla pista di Assen. Tra l’italiano e lo spagnolo c’è stato un serrato botta e risposta, sia a caldo che in seguito, quando oramai la gioia da una parte e la rabbia dall’altra erano sbollite. Nulla di nuovo comunque in uno sport come il motociclismo, dove il contatto è ampiamente presente in ogni gara.

MarquezMarquez, famoso per il suo stile di guida non proprio lineare e ortodosso, ha rivolto parole al vetriolo al collega Valentino. Ha infatti dichiarato: “Ero all’interno quando Rossi se n’è accorto, ha causato il tocco e tagliato la curva.” Dunque accuse precise da parte dello spagnolo, secondo il quale l’italiano avrebbe agito furbescamente causando di proposito il contatto fatale tra i due.

Non solo. Marquez ha anche asserito di ritenersi il vero vincitore ad Assen, a scapito proprio dell’italiano. Sempre con la franchezza che lo contraddistingue lo spagnolo ha affermato: “Sono contento di essere tornato sul podio ma moralmente sento di aver vinto io perché la curva io l’ho fatta dentro la pista, Rossi no, ha tagliato la strada”. Parole dure, forti, che lasciano il segno.

Dall’altra parte, anche Valentino Rossi ha voluto far sentire la sua voce. A suo modo, come è nel suo stile, altrettanto diretto e pungente. Ricordiamo che anche “il dottore” è un atleta abituato a lotte, “sportellate” e duelli durissimi dentro e fuori dalle piste. Tanto per citare qualche nome, chi non ricorda i memorabili scontri con Biaggi e Gibernau?

Queste le parole di Rossi sul contatto avvenuto con Marc Marquez: “Sinceramente non so come avrei dovuto fare visto che mi ha buttato fuori. Purtroppo per lui ero lì. Con Marc la certezza è che quando lotti con lui una carenata la prendi. Come avrei potuto sparire da quella posizione?”. Anche l’italiano, quindi non ci è andato tanto leggero, in quanto a parole.

MarquezIn questa lotta dialettica e sportiva, la Honda ha deciso di lavarsene le mani, metaforicamente parlando. Non è stato infatti prospettato alcun reclamo riguardo al contatto Marquez-Rossi. Il team manager della Honda, Livio Suppo, ha infatti decretato la “patta”, esattamente come avviene negli scacchi. Da una parte lo spagnolo ha esagerato nel contatto e, dall’altra, Valentino ha inequivocabilmente tratto vantaggio dall’aver tagliato la curva. Uno a uno e palla al centro, insomma.

E adesso? La lotta per il titolo sembra doversi svolgere tutta in casa Yamaha, con un vibrante testa a testa tra Lorenzo e Rossi, con un possibile inserimento in corsa di Marquez. Staremo a vedere.

Coppa America, Neymar perde la testa

Neymar

Che il calcio non sia uno sport per signorine è cosa nota e arcinota. Che i calciatori in quanto a fair play e a eleganza in campo non siano proprio un esempio, anche. Se aggiungiamo poi all’inevitabile ebbrezza dell’essere ricchi e famosi la giovane età (che mai è sinonimo di saggezza e ponderatezza), allora il mix è davvero letale. Naturalmente anche il brasiliano Neymar non è riuscito a sottrarsi ai difetti tipici della sua giovinezza.

NeymarPrima di entrare nel vivo dell’accaduto, è bene fare un passo indietro. Neymar e compagni sono arrivati in questa Coppa America con il preciso compito di far dimenticare ai tifosi la figuraccia patita contro la Germania (che poi avrebbe battuto l’Argentina e vinto il titolo) nei mondiali casalinghi del 2014. Chi non si ricorda di quella tremenda goleada subita?

Con questo spirito di rivalsa la squadra di Dunga si è approcciata alla Coppa America. A differenza degli anni passati, però, questo Brasile ha poca, pochissima qualità tecnica. Sembra strano dirlo, ma una nazione che tempo addietro ha sfornato campioni come Pelè, Ronaldo e Romario, (tanto per fare solo qualche nome) da qualche anno a questa parte sembra patire una carestia di talenti. L’unico rimasto è proprio Neymar.

Durante la partita contro la Colombia è avvenuto l’inevitabile, soprattutto visti i precedenti che c’erano con Zuniga, un centrocampista colombiano. Zuniga, infatti, aveva infranto il sogno di Neymar mettendolo fuori gioco nel mondiale scorso grazie a un’ entrata non consona con il ginocchio sulla schiena del giovane attaccante brasiliano. A causa di queste “vecchie ruggini” già durante la partita erano volate parole grosse.

NeymarQuesto nervosismo latente è esploso poi a fine partita. Neymar ha perso completamente la testa: prima ha scagliato addosso il pallone ad Armero e poi ha rifilato una testata a Murillo. Sull’entità della testata a dir la verità c’è più di qualche dubbio: Murillo sembra aver accentuato l’entità del colpo ma, come si diceva a inizio articolo, il fair play non è di questo mondo. E nemmeno di questo calcio.

Il risultato è stato disastroso: tre giornate di squalifica per Neymar causa rissa, e una ulteriore giornata per il cartellino giallo preso con il Perù e la Colombia. In totale fanno quattro, il che significa dare l’addio alla tanto agognata Coppa America. E adesso? Adesso per il Brasile di Dunga, spuntato e senza talento, la strada è tutta in salita. Una salita ripidissima e assai impervia.

Camila Giorgi si aggiudica il primo titolo WTA

Camila Giorgi

Quando oramai nessuno ci sperava più, il tanto atteso primo titolo in carriera per Camila Giorgi è arrivato. Alla prima partecipazione nel torneo olandese di ‘s-Hertogenbosch, giocato in Olanda sull’erba, l’italiana ha sconfitto la giovane svizzera Belinda Bencic con un secco 7/5, 6/3. L’avversaria non ha praticamente mai impensierito la nostra giovane connazionale.

Camila GiorgiSulla tecnica di Camila Giorgi non c’è mai stato nulla da obiettare. L’attuale numero 35 del ranking mondiale (ma con questa vittoria scalerà moltissime posizioni facendo un bel balzo in avanti) ha infatti dalla sua un talento straordinario, abbinato ad una grande forza. Nonostante il fisico minuto e leggero, l’azzurra è in grado di servire a velocità quasi maschili e a colpire la pallina con incredibile potenza e precisione.

Il problema, almeno fino ad oggi, è stato mentale. Camila Giorgi è più volte arrivata in finale in un torneo WTA ma ne è sempre uscita sconfitta. Il motivo? Forse eccessiva pressione da parte del suo team, dell’allenatore e dei fans che si sono sempre aspettati molto da lei. In effetti, quando si ha un futuro da predestinata non è forse lecito che tutti attendano da te fuoco e fiamme?

Alcuni hanno sempre obiettato a Camila Giorgi una quasi totale mancanza di variazioni nel suo gioco e in effetti tutto ciò è vero. Vedere l’italiana scendere a rete, colpire qualche slice o una palla corta è praticamente impossibile: lei gioca solo ed esclusivamente di potenza e piatto. Martella l’avversaria con palle profondissime, molte delle quali si rivelano essere vincenti. Quando è in giornata.

Camila GiorgiQuando non lo è, accadono i guai. I vincenti si trasformano in errori gratuiti che, alla fine dei conti, pesano moltissimo sul punteggio finale trascinandola verso una inevitabile sconfitta. Per di più, molto spesso Camila Giorgi perde la testa e ha dei momenti di vuoto nei quali può perdere molti punti. Proprio in questi momenti di vuoto si sono sempre inserite le sue avversarie per sconfiggerla.

Ma questa volta, nella finale WTA del torneo di ‘s-Hertogenbosch, Camila Giorgi ha finalmente dimostrato tutto il suo valore contro la giovane e promettente Belinda Bencic, che pure ha giocato come meglio non poteva. L’italiana e la svizzera si sono fronteggiate a colpi di sciabola più che di fioretto, rasentando una potenza tale da ricordare molto da vicino una stella mondiale come Serena Williams, anch’essa vera e propria bombardiera.

Dunque, lo ribadiamo, Camila Giorgi vince a ‘s-Hertogenbosch e si aggiudica il primo titolo WTA in carriera. A questo punto è lecito chiedersi: che si sia definitivamente sbloccata?

 

Il Barcellona è campione d’Europa

Barcellona

Si dice che nel calcio non sempre il più forte vince. Esistono quelle partite stregate in cui la palla non vuole entrare mai: si gioca bene, si attacca, ma il goal non ne vuole sentire di arrivare. Nella sfida unica, da dentro o fuori, anche la squadra più debole può serbare dentro di sé un briciolo di speranza e, questa volta, la squadra più debole era proprio la Juventus. Il miracolo contro il Barcellona, però, purtroppo, non è arrivato.

BarcellonaLa squadra catalana di Luis Enrique ha coronato la sua splendida stagione con l’oramai famoso triplete: inutile dire che la vittoria della Champions League ha rappresentato per il Barcellona la vera e propria ciliegina sulla torta. La Juventus di Allegri ha cercato stoicamente di resistere all’impeto dei catalani con la robustezza e il carattere che le sono propri ma tutto è stato inutile. Alla fine a prevalere è stato proprio il Barcellona.

Il risultato finale è di 3-1 per i catalani: a segno vanno Rakitic, Suarez e Neymar per il Barcellona e il sorprendente Morata per la squadra di Torino. Anche se il punteggio è chiaro, la Juventus ha più volte messo in discussione la supremazia dei catalani, dimostrando quanto carattere Allegri abbia infuso a questa squadra. Un carattere e una forza che, dopo l’abbandono di Conte a inizio stagione, sembrava a dir poco impensabile.

Dopo l’ennesima vittoria del Barcellona in campo internazionale, in casa nostra è tempo di riflessioni. La prima riguarda Luis Enrique, prematuramente bollato come un “bidone” quando sedeva sulla panchina della Roma e gettato via come una scarpa vecchia. Ancora una volta l’ambiente della città di Roma (ma più generalmente il calcio italiano nel suo insieme) si è dimostrato poco paziente e poco lungimirante in quanto alla ricerca dei talenti.

BarcellonaLuis Enrique si è dimostrato un tecnico giovane e preparato, in grado di gestire campioni affermati come Leo Messi, giovani talenti come Neymar e teste calde come l’uruguaiano Luis Suarez. Ha saputo velocizzare il lento e prevedibile “tiki taka” di Pep Guardiola, con i suoi innumerevoli tocchi di prima, rendendo il Barcellona assai più temibile e incisivo sotto rete. In più, ed è doveroso dirlo, Luis Enrique ha avuto a sua disposizione un tris d’attacco straordinario come Messi-Suarez-Neymar.

E da questo punto partiamo per la seconda riflessione. Il calcio italiano non potrebbe mai permettersi i giocatori che ha il Barcellona. Pochi campioni, poche vittorie: è chiaro. Il fatto che la Juventus sia comunque giunta in finale non deve illudere nessuno: Spagna, Germania e Inghilterra sono anni luce avanti a noi, sia economicamente che come bellezza di gioco espresso. Riuscirà mai l’Italia a raggiungere queste tre nazioni? Forse. Il primo step per far ripartire l’economia calcistica dovrebbero essere gli stadi di proprietà. Staremo a vedere.

 

Alberto Contador trionfa al Giro d’Italia

Alberto Contador

L’edizione numero novantotto del Giro d’Italia ha finalmente un vincitore, lo spagnolo Alberto Contador, già trionfatore nell’edizione del 2008. Con questa vittoria il trentatreenne si conferma uno dei ciclisti più forti di tutti i tempi avendo vinto, infatti, tutti e tre i grandi Giri: il Giro d’Italia, il Tour de France e la Vuelta. Anche questa volta, dunque, Contador non ha tradito le attese sul suo conto.

Detta in questo modo, la vittoria di Alberto Contador al novantottesimo Giro d’Italia potrebbe sembrare una mera formalità, ma le cose non sono andate proprio così, anzi. A dare del filo da torcere al trentatreenne campione spagnolo ci ha pensato il nostro Fabio Aru, un giovane ciclista sardo che da il meglio di sé nelle salite più dure e impervie e che ha, quindi, spiccate doti di scalatore.

La sfida è stata a dir poco esaltante per tutto il Giro d’Italia. Da una parte, infatti, c’era Alberto Contador, campione affermato con spiccate doti di cronoman (ossia quel particolare tipo di ciclista che dà il meglio di sé nelle cronometro), scalatore e passista e dall’altra Fabio Aru, giovane corridore sardo dalla grande fame agonistica pronta ad esplodere.

Fabio Aru è stato inoltre il primo ciclista sardo a indossare la maglia rosa, vero e proprio simbolo del Giro d’Italia. Alla vigilia dell’importante evento il corridore sardo della Astana era uno tra i papabili vincitori viste le sue eccellenti doti messe più volte in luce negli ultimi tempi. Non aveva fatto i conti però con l’esperto Alberto Contador, ora in forza nel team Tinkoff-Saxo, che ha saputo controllare e calcolare i rischi dall’inizio alla fine.

Alberto ContadorLo spagnolo, infatti, non ha mai vinto nemmeno una tappa nel Giro d’Italia del 2015, altro fatto interessante di questa novantottesima edizione, ma il suo primato non è stato praticamente mai in discussione. Alberto Contador è stato infatti leader generale della corsa dalla terza tappa, quella da La Spezia ad Abetone, rimanendo in vetta fino alla tredicesima, dove ha preso il suo posto proprio il nostro Fabio Aru.

Alla tappa successiva, comunque, Alberto Contador ha ripreso agevolmente il proprio posto di leader generale della corsa (la famosa maglia rosa) che ha mantenuto sino alla fine in modo molto agevole. Aru ha lottato come ha potuto con grinta e determinazione, ma nulla ha potuto di fronte all’esperienza dello spagnolo. Per l’italiano ci sono state anche due tappe vinte: la diciannovesima, da Gravellona Toce a Cervinia, e la ventesima, da Saint-Vincent a Sestrèrre.

Il Giro d’Italia quindi ha visto trionfare senza troppi sussulti Alberto Contador, con un distacco di 1 minuto e 53  su Fabio Aru e di 3 minuti e 5 su Landa.