Gente di Dublino è una delle opere più famose dello scrittore irlandese James Joyce. Dopo il celeberrimo “Ulisse”, Gente di Dublino è sicuramente una delle sue opere più famose e apprezzate.
Gente di Dublino
Gente di Dublino non è un libro unitario, un romanzo tanto per intenderci, ma è un libro di racconti dalla lunghezza variabile. Essi, secondo l’intento di James Joyce, rappresentano le varie fasi della vita umana: infanzia, adolescenza, maturità e vecchiaia. È, in buona sostanza, un percorso che il lettore compie di pari passo allo scrittore attraverso varie fasi e vari stati d’animo.
Elemento centrale dell’opera è sicuramente la sua città natale, Dublino, emblema vero e proprio della paralisi. La paralisi, l’immobilità fisica e spirituale è un tema centrale di Gente di Dublino e la capitale irlandese ne è la massima sintesi. Questo stato d’animo di inettitudine e paralisi si rivela attraverso quelle che Joyce chiama “epifanie”. Cosa sono?
Per lo scrittore irlandese le epifanie sono delle rivelazioni, dei “momenti di luce” che un essere umano può avere all’improvviso, generate da un intervento anche casuale. Queste epifanie stanno al centro di Gente di Dublino, esattamente come il tema della paralisi.
Un esempio tipico può essere quello del famoso racconto “Eveline”. La ragazza vive una situazione di stallo, una vera e propria paralisi di vita da cui la salverà il fidanzato Frank. Quando però Frank le chiederà di partire assieme a lui e imbarcarsi per Buenos Aires lei, semplicemente, non riuscirà a muoversi. Guarderà la nave partire (con Frank dentro), incapace com’è di lasciare Dublino e di scuotersi dal suo torpore. Mentre vede allontanarsi la nave avrà un’epifania: il suo destino è quello di rimanere nella città natale e non di partire.
Emblematico anche l’ultimo racconto, I morti, considerato uno dei massimi capolavori del Novecento. Meraviglioso il finale, di cui riportiamo un estratto, in cui la simbolica “neve” cade copiosamente su tutta Dublino, “paralizzando” sia i vivi che i morti:
“Sì, i giornali avevano ragione: nevicava in tutta l’Irlanda. La neve cadeva su ogni punto dell’oscura pianura centrale, sulle colline senza alberi, cadeva lenta sulla palude di Allen e, più a ovest, sulle onde scure e tumultuose dello Shannon. Cadeva anche sopra ogni punto del solitario cimitero sulla collina dove era sepolto Michael Furey. Si ammucchiava fitta sulle croci contorte e sulle lapidi, sulle punte del cancelletto, sui roveti spogli. La sua anima si dissolse lentamente nel sonno, mentre ascoltava la neve cadere lieve su tutto l’universo, come la discesa della loro ultima fine, su tutti i vivi e su tutti i morti.”