Codice Criminale

Codice Criminale

Codice Criminale 

Recensione di Andrea Giostra

Uscito nelle sale cinematografiche italiane il 28 giugno 2017, il film di produzione britannica, diretto da Adam Smith con l’interessante sceneggiatura di Alastair Siddons, è un prodotto cinematografico bello e intelligente. La narrazione scorre fluida e mai banale. Intrigante e stimolante. I temi trattati sono difficili e pericolosi al contempo.

Il rischio di cadere nel banalismo e nel razzismo sociale, sono ad ogni angolo, ad ogni passo, in ogni fotogramma. Non succede mai. Questi temi vengono trattati con lucida e consapevole competenza, accompagnati da una recitazione magistrale, che penetrano nel cuore dello spettatore per poi trasferirsi nella sua mente che inizia a riflettere su quello che ha appena finito di vedere.

Il doppiaggio italiano non può certamente tenere conto dello slang inglese e dei dialetti locali utilizzati nella produzione originale, che caratterizzano il film come un prodotto nel quale il neo-realismo – se così possiamo chiamarlo prendendo in prestito un concetto assai italiano – è molto forte e ottimamente strutturato per donare allo spettatore inglese la consapevolezza del prelibato gusto delle differenze culturali e sociali tra etnie diverse e tra strati socio-culturali assai distanti tra loro.

Codice Criminale 

Questa è già una prima grave pecca della distribuzione italiana che probabilmente avrebbe dovuto doppiare il film utilizzando qualcuno dei dialetti italiani che certamente non mancano. Far parlare a tutti i protagonisti del film un perfetto italiano, priva il nostro spettatore di sfumature sociali e culturali che nel film hanno fortissimi significati narrativi che generano una serie infinita di spontanei pregiudizi e di scontati preconcetti.

In sostanza, per comprendere il concetto, è come doppiare un attore italiano che impersona un rom di origine rumena con il perfetto italiano di Roberto Benigni. Non credo che una maestra italiana si sognerebbe mai di espellere il piccolo Roberto Benigni da una scuola privata perché non ha fatto bene i compiti e non parla bene l’italiano! Ebbene, nel film doppiato per l’Italia, tutto questo allo spettatore italiano è stato candidamente derubato!

Codice Criminale

E ancora. Il titolo originale del film è “Trespass Against Us”, tratto dalla seconda parte della frase del Padre Nostro “forgive us our trespasses as we forgive those who trespass against us”, “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Il titolo del film lo potremmo tradurre con “Li Rimettiamo ai Nostri Debitori”.

Ebbene, questo titolo è geniale e trasmette allo spettatore inglese un messaggio fortissimo e verissimo. Leggerlo prima di entrare nella sala cinematografica, “condiziona” la visione con delle aspettative magnificamente confermate nel finale della narrazione. Alastair Siddons e Adam Smith, artisti entrambi eccellenti, anche per questo elemento creano un’opera d’arte cinematografiche della quale componente lo spettatore italiano viene privato, derubato.

Codice Criminale 

Non si comprende come mai la distribuzione italica, che in questi casi ci conferma il suo imprevedibile talento nell’imbrattare un’opera d’arte con uno schizzo di incompetenza, riesca quasi sempre a derubare lo spettatore italiano dei piaceri stilistici dei bravi artisti oltreconfine. In realtà, se volessimo raccontarlo con una metafora in linea con l’ardire dei distributori italiani, è come affidare loro il prezioso “The Hay Wain” del notissimo pittore britannico di fine ottocento John Constable, ed esporlo in una prestigiosa galleria italiana con la didascalia che recita: “Il carro di fieno” (1821) di Giovanni Poliziotto!

Codice Criminale

Il film racconta una molto verosimile storia di una famiglia nomade allargata dov’è il padre Colby (Brendan Gleeson) a fare da padre-padrone e a decidere con saggezza e con sottile furbizia le sorti di tutto il “branco”. Rubare e non rispettare le leggi dello Stato che li ospita – è noto a tutti, anche ai diabolici analfabeti dell’integrazione a tutti i costi di culture assai distanti da quelle occidentali-cristiane – è un valore da trasmettere da padre in figlio, da figlio in nipote.

Non sottomettersi alle leggi e alle autorità costituzionali è quello che rende veramente degno di rispetto, all’interno della loro comunità, un membro della tribù. Occorre fingere, se presi in flagranza di reato, mentire sempre e comunque, rinnegando apparentemente la propria cultura e dando la sensazione di rispettare la loro, quella degli ospitanti. È a questo punto che entra in scene un interessante elemento narrativo impersonato dal bravissimo furfante, pilota di auto e ladro delle stesse Chad (Michael Fassbender). È qui che si sviluppa la parte di racconto più interessante e più vera per lo spettatore che nella vita non vede quello che c’è da vedere, e non sente quello che c’è da sentire.

Ma questi messaggi è meglio non scriverli qui, ma lasciare al nostro lettore il libero arbitrio di comprenderli o non comprenderli guardando il film. Quello che possiamo scrivere è che il valore della famiglia, l’amore per la propria donna, lo sconfinato senso di protezione dei propri figli, varca i confini di tutte le differenze culturali e sociali, perché geneticamente viscerali in qualsiasi esser umano sano di mente.

Codice Criminale

Il finale ci fa comprendere perché gli autori abbiano scelto il titolo che in Italia è stato deturpato.

>>Commento di Piero Casoli: In coda alla puntuale ed ottima recensione di Andrea Giostra vorrei aggiungere un mio commento che, oltre a dimostrare ancora una volta la “democrazia culturale” che regna nel nostro giornale, può essere spunto di commenti altrettanto democratici:

Il film è in realtà il racconto dello scontro tra due generazioni differenti, tra il capofamiglia autoritario rispettoso delle tradizioni e il primogenito più moderno, orientato al futuro e fortemente legato alla sua famiglia. 

La sceneggiatura presenta forse alcune lacune però magistralmente superate grazie alla ottima recitazione dei due protagonisti Gleeson e Fassbender.

Codice Criminale è un racconto “sbilanciato” che non raggiunge la perfetta ed equilibrata armonia tra l’azione e l’introspezione nei personaggi, così distanti tra loro, per conflitti generazionali.<<

 Titolo originale “Trespass Against Us”; traduzione: “Li Rimettiamo ai Nostri Debitori”.

Regia di Adam Smith.

Sceneggiatura originale di Alastair Siddons.

Con Michael Fassbender, Brendan Gleeson, Sean Harris, Rory Kinnear, Lyndsey Marshal, George Smith, Kingsley Ben-Adir.

Trailer IT: https://www.youtube.com/watch?v=HOymkTK31aw

Andrea Giostra

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Massimo Danza: Stage di Fotografia Coreutica

Massimo Danza:Stage di fotografia Coreutica

Massimo Danza: Stage di Fotografia Coreutica

Massimo Danza non necessita di particolari presentazioni, porta con se l’Arte fotografica coreutica.

E’ diffusamente riconosciuta la sua professionalità, la sua capacità di “cogliere l’attimo” irripetibile in un passo di danza.

Di lui abbiamo già pubblicato un servizio (https://www.lamacinamagazine.it/massimo-danza-fotografo/) nel quale abbiamo messo in luce anche le sue capacità di correlarsi con gli interlocutori e la sua “tensione” volta a trasmettere la sua vasta e profonda esperienza nell’Arte della fotografia coreutica.

Essa rappresenta l’esaltazione artistica istantanea che solo un fotografo “specializzato” nel mondo della danza riesce a cogliere.

Massimo Danza: Stage di Fotografia Coreutica

Massimo Danza: Stage di fotografia coreutica

Con il suo bagaglio di esperienza professionale e la naturale maestria nell’insegnamento, dato dalla sua attività di Docente all’Istituto Superiore di Fotografia ed anche e soprattutto dalle numerose richieste pervenute, Massimo Danza ha varato un programma di:

“Stage di fotografia coreutica rivolti ai professionisti che vogliano accostare o perfezionare questo affascinante settore della fotografia.”  

 

Massimo non sarà solo un Docente in cattedra ma sarà il “dialogatore sul campo” dell’allievo e, proprio per ricreare il perfetto scenario entro cui il fotografo coreutico opera, è prevista anche l’importante presenza ed assistenza di una coreografa e di una danzatrice.

Scopriamole insieme:

Vittoria Maniglio, coreografa

Si forma come danzatrice tra Roma e New York, dove nel 2001 vince una borsa di studio di un anno presso la Martha Graham School of Contemporary Dance;

Dal 2006 al 2009 è danzatrice solista e assistente della coreografa nella compagnia di danza contemporanea Cie Twain (RM);

Debutta come attrice nel 2008 al Teatro India a Roma, nello spettacolo “Indizi sul corpo”;

Nel 2008 si laurea in DAMS (Università RomaTre), con una tesi sulla regista sperimentale Amy Greenfield, con la quale inizia una collaborazione come performer all’interno del multimedia show “Club Midnight: Flesh into Light”, presentato a New York nel 2009.

Nel 2010/2011 approfondisce la sua ricerca su movimento, gesto espressivo e voce seguendo i workshop di Biomeccanica Teatrale (I e II livello e I approfondimento) con il Maestro Gennadi Bogdanov e i laboratori di metodo Linklater tenuti da Susan Main (Actor’s Studio, New York).

Nel marzo 2011 è selezionata da Jan Fabre per partecipare al workshop per attori professionisti tenuto a La Biennale Teatro, Venezia.

Collabora come performer con il compositore Marco Giannoni e con il videoartista Lino Strangis ed è impegnata nell’ultima produzione cinematografica di Amy Greenfield, “Spirit in the Flesh”.

Cecilia Verdolini, danzatrice

con laurea magistrale in Giurisprudenza, danzatrice professionista e…ascoltiamo questo breve filmato in cui spiega quale sarà il suo ruolo durante gli stage del Campus di Fotografia Coreutica.

Possiamo anticipare che il primo Stage è previsto nelle giornate 17/18/19 novembre 2017 presso l’Albergo Duomo a San Gemini (TR) e l’argomento portante sarà: Fotografare la Danza Contemporanea.

Massimo Danza: Stage di Fotografia Coreutica

complimenti Massimo

 

Caterina Guttadauro La Brasca

Caterina Guttadauro La Brasca

 

Caterina Guttadauro La Brasca

La Barriera Invisibile“, Editoriale Programma Ed., Treviso, 2016

Recensione di Andrea Giostra

«La più grande speranza di Diana è che Ilaria, leggendo questo libro, possa arrivare alla conclusione che quello che le unisce è molto di più di quello che le divide.»

È una storia di madri e di figlie, di amore ancestrale, materno e di risentimenti adolescenziali filiali, di amorevoli prepotenze genitoriali e di voraci costruzioni di giovani identità femminili, di sofferenze e di dolori, di rimorsi e di rimpianti, di ansie adulte e di desideri di libertà giovanili.

Storie uniche e irripetibili come tante tra madri e figlie. Storie di una madre visceralmente siciliana e di una figlia nata e cresciuta in continente, come si diceva in Sicilia in quel triste e incerto dopoguerra meridionale che fu quello voluto dalla politica repubblicana post-monarchica del referendum dei partigiani per cacciare dall’Italia i Savoia.

Una Sicilia ancora colma di tabù sul sesso femminile e sulle libertà della donna casalinga e madre non per scelta. Una storia vissuta in settentrione, ma impregnata di poderosi ricordi ed emozioni siciliane. Un fitto turbinio di pulsioni ed un intreccio di vite vissute, di vite da costruire che iniziano dalla Sicilia e germogliano vigorose in quello che fu il ducato di Modena e Reggio.

Caterina Guttadauro La Brasca

Nel romanzo di Caterina Guttadauro La Brasca scrive Diana della figlia Ilaria: «È stata una bambina serena, una ragazza desiderosa di conoscenza, una donna complessa con un vissuto doloroso, ma una donna che ha anche vinto il dolore e, ancor più, una donna che ha capito il valore e la positività della sofferenza

Senza saperlo, perché dovrà ancora costruirsi una buona cultura che sarà quella scientifica da adulta affermata e di successo, Ilaria ha percorso la saggia via segnata dal più grande degli scienziati del ventesimo secolo: «La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie.

Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e disagi, inibisce il proprio talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è l’incompetenza. Il più grande inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita ai propri problemi.»

Albert Einstein, “Il Mondo come Io lo Vedo”, 1934.

E qui inizia magnifico il racconto serrato di Caterina Guttadauro La Brasca, un narrare … alla figlia immaginata che anelante ascolta attenta … passionale, colorato, che produce profumi siciliani, che fa sentire il sole bruciare la pelle, che immerge il lettore in un clima tiepido d’inverno e sciroccoso d’estate.

Un confessare alla figlia amata sin dal concepimento che … «È così, io l’ho capito quando, dopo aver perso mio figlio, mi sono accorta di volerne subito un altro. Al momento del parto, alla domanda se volevo alleviare i dolori del travaglio, dissi no con convinzione per paura di nuocerti. Dopo averti vista, seppur stremata, ringraziai Dio per avermi dato una bimba bella e sana.» … era ben consapevole d’avere ricevuto un dono prezioso dopo un dolore straziante, prima di una malattia impietosa che per volere divino avrebbe perso la presa.

Un racconto, quello di Caterina Guttadauro La Brasca, che spesso ritorna in Sicilia, la terra dell’autrice, la sua isola, la sua giovinezza di donna che ha perso i suoi affetti più cari, dove il perdono ha trionfato: «Non possiamo essere dei buoni genitori se non siamo stati dei buoni figli. Tra i sentimenti umani quello del perdono è il più nobile perché ci libera l’anima, ci ridà il possesso di persone e cose perdute. Ci fa capire che, sbagliare si può e perdonare non è un atto di debolezza.»

Un’opera da leggere questa di Caterina Guttadauro La Brasca per chi volesse vivere letterariamente emozioni profonde e vere, di quelle verità emotive che ci fanno sentire uomini e donne della nostra cultura, della nostra storia, delle nostre più antiche tradizioni, quelle tradizioni e quella cultura che hanno forgiato la nostra anima di uomini e donne della sponda nord del Mediterraneo.

Link:
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Andrea Giostra
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Walter Siti, “Resistere non serve a niente”

Walter Siti, “Resistere non serve a niente”

Walter Siti, “Resistere non serve a niente”

Recensione di Andrea Giostra

Vincitore del premio Strega 2013, il romanzo di Walter Siti non riesce mai a catturare il lettore con la sua narrazione. La storia è sì interessante e, per certi versi, nuova per il fatto di essere ambientata in Italia. La cronaca testimoniata e il romanzo narrato quasi mai riescono a fondersi per divenire convincenti e catturare il lettore che attende, fino alla fine, di sentire finalmente pulsare un battito d’emozione, di essere sfiorato da un accenno di pathos.

Nulla di tutto ciò.

Il romanzo sembra artisticamente costruito col solo obiettivo di partecipare e vincere un concorso letterario: ed in effetti questo risultato Walter Siti lo ha brillantemente raggiunto.

Resistere non serve a niente” non passerà certo alla storia della letteratura italiana, come arditamente si sono affrettati di scrivere alcuni critici letterari della stampa nostrana.

Walter Siti, “Resistere non serve a niente”

Walter Siti descrive asetticamente tante verità della politica, del malaffare, delle oligarchie, dell’incontrastato potere economico delle organizzazioni criminali, della finanza e delle potenti multinazionali. Ma sono verità note ed arcinote alla cronaca finanziaria, politica e criminale che il cinema e la letteratura internazionale percorrono già da diversi lustri.

Walter Siti, “Resistere non serve a niente”

L’originalità, se c’è, si trova, a cercarla, come detto, nell’ambientazione italica.

La democrazia è morta per lasciare il suo posto ai grandi interessi economico-finanziari delle potenti oligarchie internazionali? Se è questo il messaggio che vuole lanciare Siti, bisognerebbe chiedersi, prima ancora, se la democrazia in Italia è mai nata.

Ma questa, chiaramente, è un’altra storia e meriterebbe un altro racconto, un altro romanzo.

In due parole, il romanzo è deludente e assolutamente commerciale, nell’accezione “usa e getta” di Latouche.

Da leggere solo per chi volesse rendersi conto di come va scritto un romanzo noioso e scontato dall’inizio alla fine; tranne che nella interessante narrazione dell’esperimento scientifico di “economica casalinga” realizzato con sette “scimmie cappuccine” da Keith Chen, docente di economia dell’Università di Yale.

Ma almeno questa “sorpresa” la lasciamo al lettore che arditamente volesse acquistare questo libro!

Aggiungiamo noi, in coda alla recensione di Andrea Giostra, che il romanzo poggia e fa leva sui più scontati personaggi classici di una storiografia di questo genere: ricchissimi finanzieri senza scrupoli, feste “hollywoodiane”, escort incredibilmente belle che sono allo stesso tempo carnefici e vittime del sistema, la brutale presenza di una delinquenza spietata ed assassina, assoluta mancanza dei basilari valori sociali.

Walter Siti, “Resistere non serve a niente” Edizioni Rizzoli, Milano, 2012

 

 

Una casa…lontano da casa: l’A.I.L.

Una casa…lontano da casa: l’A.I.L.

Confesso che, inizialmente, non percepivo soverchie difficoltà nel’introdurre l’importante intervista che la Dott.ssa Sara Zago ha concesso alla Prof.ssa Caterina Guttadauro La Brasca; immediatamente – però – l’attenzione è stata catturata dai nomi delle personalità a cui si fa cenno e che generano profondi sentimenti di stima, di ammirazione, di rispetto e, perché no, di sano orgoglio nazionale per il loro spessore umano, medico, scientifico e culturale.

Sono le migliori intelligenze che arricchiscono e qualificano il nostro paese e tutti noi dobbiamo essere loro grati per la preziosa attività di ricerca e cura che svolgono a beneficio della comunità.

Con tutta umiltà mi accingo quindi a presentarli.

Prof. Sante Tura  Direttore della Scuola di Specializzazione in Ematologia, Professore Emerito dell’Università di Bologna, ematologo e ricercatore a livello mondiale, uno dei padri della ematologia italiana, Presidente dell’A.I.L. di Bologna, già Direttore dell’Istituto Ematologico del Policlinico S.Orsola di Bologna e direttore dell’Istituto “L. e A. Seràgnoli“, autore di numerosi testi scientifici.

Il video che presentiamo illustra la vastità e la fondamentale importanza dell’opera che svolge il Prof. Sante Tura

Prof. Franco Mandelli Libero docente in Patologia Speciale Medica e Metodologia Clinica, in Clinica Generale e terapia Medica, libero docente in Ematologia, ha diretto la Scuola di Specializzazione in Ematologia dell’Università “Sapienza” di Roma. Professore emerito di Ematologia dell’Università “ Sapienza” di Roma, ha creato la casa A.I.L. “residenza Vanessa” situata nelle immediate vicinanze del centro di Ematologia, per alloggiare gratuitamente malati di fuori Roma.
Presidente dell’A.I.L., l’Associazione Italiana contro le Leucemie, linfomi e mieloma.
Presidente della Fondazione G.I.M.EM.A. (Gruppo Italiano Malattie Ematologiche dell’Adulto).
Primario emerito di Ematologia del Policlinico “Umberto I” di Roma.

Una casa…lontano da casa: l’A.I.L.

La Prof.ssa Caterina Guttadauro La Brasca incontra la Dr.ssa Sara Zago, Responsabile di Casa A.I.L. Bologna

L’A.I.L. nasce nel 1969 a Roma da un’intuizione del Prof. Franco Mandelli grazie al contributo di illustri personalità del mondo della medicina, della scienza, dell’economia e della cultura. L’acronimo A.I.L. oggi è super conosciuto e significa Associazione contro le Leucemie, Linfomi e Mieloma.
Da oltre 45 anni, l’A.I.L. promuove e sostiene la ricerca scientifica. Oggi ci troviamo in una casa in cui si vive tutto intensamente e, sapere che abbiamo una manciata di minuti per parlarne, è frustrante. Parliamo di Casa A.I.L., una solida realtà che a Bologna funziona da 11 anni.
Le Case A.I.L. oggi realizzate rappresentano un passaggio importante nel percorso dell’Associazione verso l’obiettivo finale: dotare ciascun centro di cura di una propria residenza. Il Servizio è offerto da 36 Sezioni in Italia e sono sempre poche. Noi oggi ci occupiamo della realtà bolognese ed abbiamo con noi la Dr.ssa Sara Zago che è la Responsabile della sua gestione. Una premessa doverosa: la realtà ematologica e Casa A.I.L. fanno capo ad una persona che, di fatto, non ha mai lasciato l’Ospedale Sant’Orsola, dove ha lavorato come eccellente ricercatore, ematologo e Presidente dell’A.I.L., attività che ricopre a tutt’oggi. Ovviamente stiamo parlando del Professor Sante Tura, al quale va il nostro ringraziamento per averci fatto concedere questa intervista.

Dr.ssa Zago, ci descrive Casa A.I.L. con le caratteristiche e le attività che raccoglie al suo interno?
Casa A.I.L. è la casa di accoglienza di Bologna che gestisce l’Associazione contro le leucemie ed è attiva dal 2005. E’stata costruita dalla Fondazione Seràgnoli, per la precisione, dalla Dr.ssa Isabella e data alla nostra Associazione in comodato gratuito. Casa A.I.L. ha lo scopo di accogliere i pazienti onco-ematologici che non risiedono a Bologna e sono in cura presso l’Ematologia dentro il Sant’ Orsola di Bologna. E’ un’accoglienza gratuita, nel senso che non si paga nessuna retta, gli ospiti possono fare un’offerta all’Associazione. C’è una collaborazione molto stretta tra Casa A.I.L. e l’Ematologia perché avviene tramite una richiesta medica del dottore che ha in cura il paziente ed indica anche il periodo di permanenza di cui necessita nella Casa.

Parliamo di un’Associazione no profit, cosa tiene economicamente in piedi una così vasta struttura?
L’Associazione è una Onlus e mantiene Casa A.I.L. come uno dei tanti servizi di assistenza che ha attivi come statuto. Casa A.I.L. si mantiene tramite la grandissima raccolta fondi di privati, aziende e sostenitori. Questo consente di coprire la manutenzione ordinaria della Casa, cioè pagare tutti i dipendenti, il custode che è una presenza attiva 24 ore su 24, le bollette ecc. Grazie, invece, alla Fondazione Seràgnoli, abbiamo un sostengo economico che ci consente di affrontare la manutenzione straordinaria, gli imprevisti che sono tanti e richiedono grosse cifre.

Quali sono i rapporti fra Ematologia e Casa A.I.L.?
I rapporti tra noi e l’Istituto di Ematologia sono continuativi ed importanti. La Casa ha disponibili 12 camere da letto. C’è una collaborazione quotidiana tra noi, i dottori, le capo sale che fa sì che la struttura sia sempre al massimo dell’efficienza e della ricettività. L’ospedale ci garantisce di sapere quando una persona viene dimessa e quindi c’è un avvicendamento. Per l’Ematologia è molto importante l’esistenza di casa A.I.L. perché consente di avere un posto in anticipo anche verso i cittadini di Bologna. Ad esempio, una persona che viene da fuori e non sta ancora bene può fermarsi a Casa A.I.L. per rimanere vicino all’ambulatorio e, nel contempo, l’Ematologia può prendere in carico un altro paziente. L’afflusso di pazienti a Casa A.I.L. è grande perché l’Ematologia porta avanti tante terapie sperimentali che non vengono fatte in altri Centri, infatti non a caso la realtà ematologica di Bologna è un punto di riferimento a livello nazionale ed europeo.

Una casa…lontano da casa: l’A.I.L.

Cosa significa il cognome Seràgnoli per l’Ematologia e Casa A.I.L.?
Significa moltissimo. L’Ematologia è stata voluta e costruita dalla Dr.ssa Isabella Seràgnoli che è Vice Presidente dell’A.I.L. di Bologna ed è proprietaria di Casa A.I.L., tramite la sua fondazione. La sua è una presenza discreta ma costante, grazie alle sue opere disponiamo di un ambiente così accogliente, curata in ogni particolare. Con il suo contributo costante, ogni anno, la Fondazione ci supporta, perché con il passare del tempo, le esigenze aumentano, cresce la struttura e quindi aumentano la gestione e le necessità.

Una casa…lontano da casa: l’A.I.L.

Lei gestisce una grande attività, coadiuvata da tante colleghe, ce ne parla? Quali sono le campagne che vi contraddistinguono e adesso qual è la più vicina nel tempo?
La più vicina è il Natale. Viene fatto un vero e proprio catalogo di doni, rivolto a privati, ad aziende che possono sostenere casa A.I.L., la ricerca scientifica, creando un buono solidale. Questa campagna è fatta da tutte le mie colleghe e ci vede impegnate da ottobre a gennaio. La campagna porta molti fondi, importanti non solo per casa A.I.L. ma anche per tutte le attività. Come le dicevo, qui c’è un lavoro di squadra, lavorano tante colleghe, qui nella casa e nell’ufficio che è all’interno dell’ospedale. Ognuno porta in questa attività i propri talenti perché da soli non si va da nessuna parte. C’è anche una Dottoressa, Responsabile del Servizio di Psicologia Clinica, che ci supporta tutti con i suoi preziosi consigli. Casa A.I.L. è anche una bella realtà perché è sempre animata da un flusso di volontari, che danno il loro contributo per ogni attività, offrono il loro tempo, le loro capacità e propongono campagne, corsi di cucina ecc…

Il Volontariato è il cemento di questa Casa, come si diventa volontari A.I.L.?
Per diventare volontari bisogna sostenere un colloquio iniziale con cui si manifestano le proprie disponibilità. Dopo si prendono in esame le varie possibilità d’impiego: di accoglienza ai nuovi arrivati nel pomeriggio, con i quali si prende un tè. L’impiego non è solo nella Casa ma anche nei reparti, nel servizio di navetta che accompagna i pazienti da casa all’ospedale e viceversa. Ovviamente l’impegno è totale e di tutti nelle Campagne di Natale e di Pasqua che ci permettono dei grandi ricavi.
Nulla di quello che qui succede è lasciato al caso. Si cura l’ammalato, la sua sfera familiare, offrendo ospitalità, serenità, comprensione ed assistenza psicologica. Queste persone sono consapevoli di vivere uno stato di malattia nella situazione più ottimale possibile o ha notato talvolta resistenza, ovviamente causata dal meccanismo della malattia?
Le persone che vengono ospitate in Casa A.I.L., inizialmente, sono sbalorditi perché si trovano in un ambiente che non è una propaggine dell’ospedale ma una vera casa, accogliente, pulitissima, confortevole e si percepisce il loro sollievo. Sanno di dover combattere una grande battaglia, ma comprendono di non essere soli a farlo. Questo grazie da parte loro è per noi un incentivo a fare sempre meglio, lo trasmettiamo a chi lavora dietro e tutti ce ne nutriamo assieme all’aiuto psicologico per non demotivarci e non sentirci impotenti dinanzi alla gravità della malattia. Nell’ingresso di Casa A.I.L. c’è un grosso book dove si può lasciare il proprio stato d’animo e noi, leggendoli, ci rendiamo conto di quanto conti, per chi è malato, il sostegno, la compagnia, la consapevolezza di non essere lasciato solo di fronte alla lotta per guarire.

Una casa…lontano da casa: l’A.I.L.

Cosa riceve lei da questo, chiamiamolo, “lavoro”? Possiamo dire che aiutare gli altri significa anche aiutare noi stessi?
Sicuramente, non c’è dubbio. Penso che non ci sia niente di meglio per valorizzare noi stessi. Quello che riceviamo ci consente di estraniarci dalla malattia e considerare anche i momenti belli che si vivono, come i matrimoni, la nascita di un figlio. E’ un lavoro in cui ci vuole un certo distacco per non lasciarsi invadere dallo scoraggiamento, dal sapere che certi casi sono disperati. Occorre fare squadra per poter guardare avanti con speranza e fiducia. Come in tutti i lavori bisogna sapersi dosare ed apprezzare i bei momenti che, nonostante il dolore, ci sono.

Come si può aiutare CASA A.I.L.? Può darci i riferimenti diversificando le varie possibilità, per consentire a chi vuole rendersi utile di farlo compatibilmente con la propria disponibilità?
La maniera più semplice è partecipare alle campagne solidali come il Natale e la Pasqua. Si può contribuire facendo un dono, comprando uno dei tanti oggetti del catalogo. Si può fare un versamento sul conto corrente intestato o direttamente in ufficio a Casa A.I.L.. Tutte le modalità e le informazioni sono poi sul nostro sito che è: www.ailbologna.it Si aiuta anche facendo opera di divulgazione dappertutto, dall’ambiente familiare a quello di lavoro.

Una casa…lontano da casa: l’A.I.L.

Ascoltiamo adesso due presenze che, in questo momento, stanno svolgendo il loro volontariato: Maria ed Angela.
Cosa vi ha spinto ad impegnarvi in questo campo?
Maria: Io ero rimasta sola ed avevo già fatto volontariato. Questo lavoro a me dà tantissimo e condivido il parere che aiutare è uno scambio reciproco di forza e di gioia che ti fa amare la vita.
Angela: io ho lavorato in ospedale per tanto tempo. Quando sono andata in pensione, ho pensato che aiutare chi soffre era quello che desideravo. Ho iniziato 11 anni fa e sono ancor qui, convinta di aver fatto la cosa giusta perché si riceve più di quello che si dà.

Grazie a Maria ed Angela, due dei tanti angeli che popolano questa Casa. Ci sono luoghi dove la musica arriva dal cuore, dice Samuele Bersani in un video girato per A.I.L. Io vi assicuro che, dopo essere venuti in questa Casa ed avere osservato il lavoro svolto in ogni ambito, andando via, si ricordano i sorrisi di questa grande squadra umana che si regala il lusso di rendere vivibile la sofferenza.

Ringrazio la Dott.ssa Sara Zago per la disponibilità e abbiamo preferito, oltre ai numeri, privilegiare il lato umano, perché Casa A.I.L. e tutto quello che racchiude, vuol dire solidarietà, donare per il piacere di farlo e soprattutto non fare mai spegnere l’amore per la vita. A tutti grazie per lavorare in silenzio e con rispetto per il disagio e la sofferenza. E’ questo, l’esempio più grande di cui tutti abbiamo bisogno.

Grazie alla Dott.ssa Sara Zago.

Una casa…lontano da casa: l’A.I.L.