Alla scoperta delle Fate nel quartiere Coppede’

Arriva la bella stagione e ritorna la voglia di scoprire la nostra magnifica città. Forse non tutti sanno che nel cuore di Roma c’è un luogo fuori dal tempo avvolto in un’atmosfera magica e sognante, il quartiere Coppedè. Un angolo della capitale in cui il suo ideatore, l’architetto Coppedè, ha fuso insieme stili diversi: dal Liberty all’arte romana, dall’arte rinascimentale a quella gotica, dando vita ad un miscuglio artistico sublime conosciuto ormai con il nome di “Stile Coppedè”. Il quartiere è un complesso di 26 palazzine e 17 villini e sorge tra la Salaria e la Nomentana. Un grande arco riccamente decorato che congiunge i due palazzi degli ambasciatori e dal quale scende un grande lampadario in ferro battuto, definisce l’ingresso del quartiere realizzato, tra il 1913 e il 1926. L’insieme dei fabbricati, caratterizzati da un miscuglio di linguaggi architettonici che immergono il visitatore in una atmosfera onirica, si articola intorno a piazza Mincio, dove lo spazio centrale è occupato dalla Fontana delle Rane, anche nota per il bagno che i Beatles vi fecero vestiti dopo un loro concerto tenuto nella vicina discoteca Piper. Ma sono due gli edifici più rilevanti, decorati in modo sovrabbondante e fantastico: la Palazzina del Ragno, di ispirazione assiro-babilonese caratterizzata da un grande ragno posto sulla facciata, e il magico Villino delle Fate, del tutto asimmetrico, con archi e fregi medievali realizzato fondendo diversi materiali, come il marmo, il laterizio, il travertino, la terracotta, il vetro. L’atmosfera magica e sognante del quartiere lo ha reso famoso come set ideale per innumerevoli film. L’associazione h, organizza per il prossimo 30 aprile una visita guidata, durante la quale sarà possibile andare alla scoperta della sua storia, dei simboli e della magia che contraddistingue il quartiere. In particolare vedremo la Fontana delle Rane, la Palazzina del Ragno e soprattutto il Villino delle Fate. Recentemente ristrutturato, rievoca la magia neogotica del luogo. Come in una fiaba ci appaiono torri medievali, finestre manieriste, stemmi barocchi, elementi Liberty e Decò.

La visita, curata dalla dott.ssa Bottone, è prevista per il prossimo 30 aprile alle 11:30.

Per ulteriori informazioni potete collegarvi alla pagina facebook, dell’associazione: https://www.facebook.com/Bellezze-di-Roma-1646385192258004/

Pena di morte

Il 6 aprile 2016 Amnesty International – l’organizzazione non governativa internazionale che promuove il rispetto dei diritti umani – ha diffuso i dati riguardanti la “Pena di morte” dove sono presentati i terribili numeri di condanne ed esecuzioni avvenute nel 2015.

La ONG, fondata nel 1961 e vincitrice del Premio Nobel per la Pace nel 1977, è impegnata da sempre nella lotta contro le violenze, le torture e le esecuzioni capitali che vengono perpetrate in tutto il mondo.

Uno degli scopi della Mission di Amnesty International è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale su questi temi ricorrendo alla realizzazione e diffusione di campagne informative, di inchieste e ricerche.

Quest’ultimo studio sulla “Pena di morte” presenta molte luci ma ancora, purtroppo, moltissime ombre.

Per la prima volta nella storia i paesi che non prevedono l’esecuzione capitale per alcun tipo di reato e che si possono definire “abolizionisti” rappresentano la maggioranza rispetto a quelli dove ancora vige l’ignominiosa “Pena di morte”; 102 nazioni hanno ormai messo al bando questa infamia umana.

L’inversione di tendenza è dovuta alla illuminata decisione attuata da quattro stati (Suriname, Madagascar, Fiji e Repubblica del Congo) che nel 2015 hanno abolito la “Pena di morte”.

Nel corso del 2016 anche la Mongolia si aggiungerà alla lista dei paesi “abolizionisti”.

Di contro, ed è questo il dato allarmante, il numero di esecuzioni in tutto il mondo registra una escalation drammatica ed infatti, nel 2015, sono stati giustiziati più di 1.634 prigionieri, più del doppio rispetto a quelli uccisi nel 2014.

Era da ben 27 anni che Amnesty International non registrava queste inquietanti cifre.

Il preoccupante aumento è legato soprattutto al Pakistan, all’ Arabia Saudita e all’ Iran, i paesi che più spesso ricorrono alle condanne a morte per punire chi viene riconosciuto colpevole di reato.

L’89% delle esecuzioni registrate da Amnesty International nel 2015 si sono svolte proprio in questi tre stati.

L’Iran guida la macabra classifica con 977 persone mandate al patibolo, ben 234 in più rispetto al 2014.

Oltre a questo terribile primato, l’Iran è anche l’ultimo stato al mondo che, violando il diritto internazionale, ancora oggi prevede la “Pena di morte” per i minori.

Il decreto per l’abolizione esiste dal 2004 ma non è stato mai applicato dalle istituzioni iraniane. Secondo la ricerca di Amnesty International nel 2015 quattro persone di età inferiore ai 18 anni sono state giustiziate a Teheran.

In Pakistan le persone uccise sono state 320 ed in Arabia Saudita 158, con un aumento del 76% rispetto al 2014.

Molte condanne a morte sono state emesse per reati che il diritto internazionale non riconosce come gravissimi; nei paesi più “attivi” ci sono stati detenuti portati al patibolo anche per reati di corruzione, adulterio e traffico di droga.

D’altronde ogni paese è sovrano e nulla gli si può imporre; solo la voce unitaria della comunità internazionale potrebbe percorrere l’unica via possibile: il dialogo per indurli alla riflessione.

La ricerca svolta dalla ONG non comprende però i dati sulla Cina che tratta questo tipo di informazioni come segreto di stato.

Il gigante asiatico, non a caso, è da sempre citato dalle ONG per gli abusi e le inadempienze riguardanti la salvaguardia e lo sviluppo dei diritti umani e delle libertà personali.

L’unico paese in Europa dove ancora giuridicamente vige la “Pena di morte” è la Bielorussia ma è corretto sottolineare che, nel 2015, nessun detenuto è stato giustiziato.

Dati incoraggianti vengono dall’Africa Subsahariana, dove il numero delle condanne emesse si è drasticamente ridotto; dalle 909 del 2014 alle 443 del 2015.

Il trend positivo si registra anche nelle Americhe, dove ormai quasi tutti gli stati hanno abolito le esecuzioni capitali tranne Trinidad e Tobago e U.S.A.

Negli Stati Uniti d’America ci sono state 28 esecuzioni – il numero più basso da 25 anni ad oggi – e 52 nuove condanne.

Amnesty International fotografa un mondo spaccato in due; sono stati compiuti importanti passi avanti ma, nonostante questo, sono ancora troppi i paesi che restano sordi ai richiami delle Associazioni e delle Istituzioni mondiali per il rispetto dei diritti umani.

Sono necessari maggiori sforzi ed importanti cambiamenti culturali per mandare definitivamente in pensione i boia di tutto il mondo e cancellare per sempre la “Pena di morte”.

Il processo di sensibilizzazione contro la “Pena di morte” è ormai iniziato, è irreversibile, il mondo intero abolirà la “Pena di morte”; è solo una questione di tempo.

 

Giuseppe Loris Ienco

Mazzucco e Orrù: la loro “Storia di mezzo”

Sarà il Teatro S. Luigi Guanella di Roma ad ospitare gli attori della Compagnia degli Arti che questo venerdì, sabato e domenica torneranno a calcare il palco per riproporre, con un cast in parte rinnovato, una pièce dai toni comici ma con un grande significato sociale.

Gabriele Mazzucco, autore e regista dello spettacolo, e Federica Orrù, attrice co-protagonista, rispondono ad alcune domande sulla rappresentazione e ci raccontano la loro esperienza da artisti.

Dopo recente successo, questo weekend torna in scena “La Storia di mezzo”, lo spettacolo record di presenze e incassi nella stagione 2014-2015 del teatro romano Ambra alla Garbatella nonché vincitrice dei premi Thealtro 2012 e Teatro Araldo di Torino. Gabriele, è pronto per questo nuovo debutto?

– Non credo di essermi mai sentito realmente pronto prima di un debutto. Il carico di ansie che mi porto prima di qualsiasi replica riesco ad alleggerirlo solo nel momento dei ringraziamenti. Spesso si trasforma in gioia, altre volte in rabbia (se qualcosa non è andata come volevo); diciamo che vivo in modo profondo e viscerale ogni rappresentazione, dalle prime fasi fino all’ultima replica. Quando seguo gli spettacoli dalla regia ripeto una dopo l’altra le battute in parallelo agli attori in scena. Spesso mi lascio andare a digressioni e valutazioni in tempo reale. Molti colleghi o amici che hanno visto con me in regia i miei spettacoli, parlano del mio modo di vivere le repliche come “di uno spettacolo nello spettacolo”: il bello è che in quel momento non me ne accorgo assolutamente.

Scritta nel 2009, questa che lei stesso definisce una “tragicommedia”, diventata anche un libro, racconta la storia di un neo-licenziato, una figura che ormai siamo tristemente abituati a conoscere. Com’è nata l’ispirazione?

– Erano gli anni in cui studiavo all’università e parallelamente vivevo di lavori saltuari: impiegato in più sale scommesse, cameriere, organizzatore di tornei di calcetto, buttafuori. Intorno a me vedevo i miei coetanei affannati nella ricerca del posto fisso; in realtà sentivo che il precariato estremo sarebbe stato il nostro futuro e che il posto fisso ormai apparteneva al passato o comunque a pochi, pochissimi privilegiati. Di qualche anno ho anche tristemente anticipato i tanti casi di suicidio che ci sarebbero stati con l’avvento della crisi. Immaginavo che questo cambio radicale della percezione del lavoro, unito alle tante spese e allo stile di vita ai quali eravamo abituati, avrebbero preso alla sprovvista fino alla disperazione tante persone. Purtroppo i fatti si sono rivelati tali… nonostante le tante parole di certi politici.

Come e in quale misura i toni comici e le situazioni a tratti surreali hanno aiutato a raccontare quella che invece è una realtà di disperazione assoluta? Quali sono stati, se ne hai incontrati, invece i limiti?

– La disperazione, il dramma, la tragedia raccontate per come sono non mi hanno mai interessato. Siamo capaci tutti a piangere quando le cose ci fanno male; alcuni invece riescono meglio a controllare il proprio dolore evitando le lacrime. Diverso è riuscire a trasformare il pianto in riso: lì c’è una volontà che somiglia tanto alla vita, è spirito di adattamento ed istinto di sopravvivenza. La risata è una ricchezza che va oltre qualsiasi situazione e che per quanto mi riguarda non mostra limiti, se non forse quello di non essere presi subito sul serio. Le persone superficiali ad esempio non prendono sul serio le risate ma a me viene soltanto da ridere.

C’è qualcosa di autobiografico in questa opera oppure si è semplicemente lasciato ispirare dalla realtà circostante?

– Come detto la società in cui sono cresciuto mi ha sicuramente ispirato; in egual misura ha avuto una forte influenza anche il mio ambiente famigliare e quello degli amici più stretti che ho frequentato dai 16 fino ai 26 anni (quando ho scritto La Storia di mezzo). C’è un po’ di tutto e un po’ di pochi in questo mio testo. Credo sia per questo che piaccia ad un pubblico così ampio di persone.

A proposito della sua formazione, in un’occasione si è trovato a riportare le parole di chi usa definire la sua Dams (Disciplina delle Arti, della Musica e dello Spettacolo) la “laurea del nulla”, un titolo che le avrebbe potuto assicurarle soltanto una carriera da eterno precario. Secondo la sua esperienza, il futuro di chi sceglie di fare dell’arte il proprio mestiere è davvero così incerto?

Ora il futuro è incerto per tutti. Negli anni a cavallo tra la nuova realtà e la percezione che la gente aveva di quanto stava succedendo ho scelto di seguire l’istinto e di buttarmi a capofitto nel mestiere del precario per antonomasia… l’artista. Se proprio devo vivere come vogliono loro, mi sono detto, almeno voglio farlo a modo mio.

Anche Federica Orrù, attrice professionista, sarà sul palco durante questo weekend. Cosa ci può raccontare del suo personaggio senza svelare troppo gli intrighi della trama?

– Il personaggio che interpreterò è quello di Maria, moglie del protagonista Simone. Maria è una perfetta donna moderna, divisa tra lavoro, casa, palestra e problemi di coppia. Una donna che ha voglia di vivere ed essere felice ma insoddisfatta di quello che la vita le sta offrendo e che non fa più nulla per nascondere questa sua infelicità anche se nel profondo del suo cuore nutre ancora la speranza che le cose, un giorno, possano cambiare… saranno gli avvenimenti improvvisi e continui a decidere che direzione prenderà la sua vita e quella di tutta la sua bizzarra famiglia.

Ha intrapreso la strada della recitazione perfezionandosi per anni e lavorando per la televisione, il cinema e il teatro. Quanto incide avere una buona preparazione per chi decide di dedicarsi a questa professione?

– Credo che Il mestiere dell’attore sia sicuramente uno dei più impegnatavi a livello di studio e preparazione tecnica: diventare attore è prima di tutto un lavoro su sé stessi e un percorso di studio intenso, che una volta intrapreso, richiede approfondimento continuo e costante e che può e deve durare l’arco di un’intera carriera. Ritengo quindi che la preparazione sia fondamentale, come in tutti i campi della vita, per diventare dei professionisti, ma allo stesso tempo c’è bisogno che la tecnica appresa diventi un connubio inscindibile anche con un qualcosa che è un di più, qualcosa che è simile ad una specie di “magia”, qualcosa che non si può insegnare: talento, personalità, fantasia, immaginazione, curiosità, espressività, vissuto personale… e tutto quello che del proprio mondo interiore l’attore riesce a comunicare al pubblico, in quel modo che dovrà essere solo suo, attraverso il personaggio che sta interpretando in quel momento.

Quale consiglio si sente di dare a chi ha timore di inseguire il proprio sogno da performer?

– Come già detto non è un mestiere semplice, bisogna determinarsi e volerlo veramente essendo disposti ad affrontare i sacrifici che richiede ma anche pronti a ricevere le grandi soddisfazioni che può dare. Iniziare dai primi passi. Per cui suggerirei di provare, con entusiasmo e serietà, ad incontrarlo quel sogno, quello che ognuno sa e conosce dentro di sé.

Progetti futuri sui quali sentite di poterci dare qualche anticipazione?

Finite le rappresentazioni de “La Storia di mezzo” inizieremo a lavorare su un monologo che porteremo in scena a maggio al Teatro Ambra alla Garbatella. In scena ci sarà Andrea Alesio per la regia di Gigi Palla. Il testo ancora lo sto rivedendo per proporre qualcosa che sia profondamente stimolante per noi e per il pubblico. Dimenticavo, il titolo del monologo è “Il Catamarano”.

Gallieno Ferri, il padre del fumetto italiano

Il 2 aprile 2016 sarà ricordato come un giorno triste per il fumetto italiano: a 87 anni è scomparso il disegnatore “Gallieno Ferri”, vero e proprio gigante dei comics nostrani.

Il noto fumettista si è spento nella sua casa di Genova poche settimane dopo il suo ultimo compleanno e circondato dall’affetto dei suoi quattro figli. La notizia della morte è stata diffusa dal sito web della “Sergio Bonelli Editore”.

Gallieno Ferri, nato nel capoluogo ligure il 21 marzo 1929, cominciò la carriera da fumettista a soli 19 anni dopo aver lavorato per un breve periodo nella professione per la quale aveva studiato: il geometra.

Nel 1949 produce i primi disegni per l’editore Giovanni De Leo, per il quale realizza – firmandosi con lo pseudonimo “Fergal” – le serie d’avventura “Piuma Rossa”, “Il Fantasma Verde” e “Maskar”, il cui protagonista è un eroe ispirato ai fumetti di “Fantomas”.

Negli anni ‘50 “Gallieno Ferri” collabora soprattutto con il francese Pierre Mouchott, proprietario della casa editrice “S.E.R.”

Si specializza nel western affermandosi al di là delle Alpi con i disegni di personaggi come Thunder Jack, Kid Colorado e Tom Tom.

A metà decennio il ritorno in Italia con le prime storie sul “Vittorioso”, leggendaria rivista di fumetti che ancora è nel ricordo di molte generazioni e pubblicata dalla “AVE” dal 1937 al 1970.

Nel 1961 la vera e stravolgente svolta nella carriera di “Gallieno Ferri”; il disegnatore genovese entra infatti a far parte della più grande casa editrice di comics italiana, la “Sergio Bonelli Editore” che – all’epoca – era nota con il vecchio nome “Edizioni Araldo”.

“Sergio Bonelli Editore” venne fondata a Milano nel 1940 da Gian Luigi Bonelli, noto soprattutto per essere il papà del western “Tex” che ancora oggi risulta il fumetto italiano di maggior successo di sempre.

Uscito in edicola nel 1948 le vicende del ranger Tex Willer e dei suoi tre compagni di avventura – i cosiddetti pards – ancora oggi appassionano migliaia di lettori di tutte le età.

La casa editrice milanese è una vera e propria potenza inavvicinabile nel mondo dei comics italiani con milioni di albi venduti ogni anno. Tra i personaggi più noti della “Bonelli” vi sono il già citato Tex Willer e Dylan Dog, Martin Mystère, Nathan Never, Mister No e Zagor.

Quest’ultimo nasce nel 1961 da un’idea di Guido Nolitta – lo pseudonimo usato da Sergio Bonelli (figlio del fondatore Gian Luigi Bonelli) nei suoi lavori da sceneggiatore di fumetti – e dello stesso “Gallieno Ferri”.

Zagor viene pensato come un’alternativa a Tex, meno seria e più adatta ai bambini. L’ambientazione è sempre western ma vi sono anche forti tinte fantastiche ed una grande dose di umorismo garantita soprattutto dal messicano Cico, l’esilarante spalla del protagonista Zagor.

“Gallieno Ferri” contribuisce pesantemente al successo di “Zagor” realizzandone graficamente i personaggi e il mondo nel quale si svolgono le avventure dell’eroe noto anche come “Lo spirito con la scure”.

L’artista genovese realizza anche i disegni del primo numero e di ben 115 copertine per “Mister No”, altro storico fumetto bonelliano stampato dal 1975 al 2006.

Dopo 55 anni dalla nascita, “Zagor” è ancora oggi pubblicato mensilmente e ha superato da poco l’invidiabile traguardo dei 600 albi usciti in edicola. Tutte le copertine sono state realizzate da “Gallieno Ferri” che, nonostante l’età avanzata, ha continuato a lavorare per la “Bonelli” fino al giorno della scomparsa. Dai prossimi numeri un altro disegnatore prenderà il suo posto.

La scomparsa di “Gallieno Ferri” lascia un vuoto incolmabile tra tutti gli appassionati di fumetti italiani e bonelliani ma i suoi disegni, però, non saranno mai dimenticati da chi è cresciuto leggendo “Zagor”.

Giuseppe Loris Ienco

Cine50: rassegna gratuita a Palazzo delle Esposizioni

luci del varietà_cine50

Si intitola Cine50 la nuova rassegna proposta dal Palazzo delle Esposizioni di Roma, dedicata ai grandi film del cinema italiano degli anni Cinquanta, un decennio che ha fatto scuola grazie a nomi come quelli di Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Vittorio De Sica, Dino Risi, Roberto Rossellini, Luchino Visconti.

Questi sono solo alcuni dei registi protagonisti degli appuntamenti di Cine50, che fanno seguito a quelli dedicati agli anni Sessanta e Settanta, due viaggi a ritroso che hanno riscosso grande successo e grande partecipazione.

La passeggiata indietro nel tempo giunge ora al decennio del neorealismo italiano, che vide il suo massimo splendore tra il 1945 e il 1951, movimento che ebbe enorme influenza anche sul cinema di altri Paesi e che, a sua volta, deve molto a quello francese.

Il regime di Mussolini e la guerra avevano lasciato l’Italia in una grave situazione di povertà e crisi e, nello specifico, il settore cinematografico aveva subito un durissimo ridimensionamento, perdendo il suo fulcro e quel lustro che aveva avuto in precedenza. Gli studios di Cinecittà, rinomati per i set e le scenografie curate, ormai non ospitavano più produzioni di livello.

I registi si spostarono nelle strade, tra la gente comune, immersi nella cruda verità di un’Italia stretta nella morsa della miseria, della fame, della disoccupazione.

I grandi maestri del neorealismo italiano sconvolgono col loro nuovo linguaggio espressivo, teso a evidenziare le crisi della piccola storia che stava facendo i conti con la grande storia, quelle crisi che però il genio di quei registi sapevano essere terreno di una rivoluzione imminente.

Lo schermo si apre alle contraddizioni di un Paese sulla soglia della rinascita, le pellicole si fanno terreno di storie nuove e sconvolgenti, che scavano nella desolazione e in cui fa capolino la modernità.

Parallelamente a questo bisogno di verità, di riappropriazione della propria dimensione storica, negli italiani si fece avanti, nel periodo postbellico, anche un fisiologico bisogno di divertimento ed evasione, che cinematograficamente si va ad incanalare nel filone della commedia all’italiana, dove la fanno da padroni grandi nomi come quelli di Mario  Monicelli e Luigi Comencini, affiancati da colossi quali gli indimenticabili e indimenticati Totò, Peppino De Filippo e Alberto Sordi.

L’espressione fu coniata in riferimento al titolo di uno dei più grandi successi di questo genere cinematografico, il film Divorzio all’italiana di Pietro Germi. Pur avendo una vena comica che spinge al riso, si tratta comunque di una risata spesso amara. Il neorealismo non è del tutto dimenticato o sorpassato e la commedia all’italiana non è del tutto leggera e disimpegnata: aderisce comunque alla realtà con riferimenti critici e pungenti e tematiche fortemente sentite (in Divorzio all’italiana, ad esempio, il delitto d’onore).

Cine50 vuole raccontare tutto questo: una passeggiata che vedrà il suo avvio venerdì 8 aprile con Luci del Varietà, pellicola di Fellini del 1950.

luci del varietà

Si andrà avanti fino al 22 maggio, serata di chiusura affidata ad Estate violenta di Valerio Zurlini, film del 1959.

estate violenta

Cine50: il programma

Il calendario di Cine50 prevede uno o più appuntamenti al giorno (41 film in tutto): gli ingressi alle proiezioni sono tutti gratuiti e i posti vengono assegnati a partire da un’ora prima dell’inizio. La possibilità di prenotare è riservata solo ai possessori della membership card.

Miracolo a Milano (De Sica, 1959), Domenica d’Agosto (Emmer, 1950), Cronaca di un amore (Antonioni, 1950), I Vitelloni (Fellini, 1953), Le notti bianche (Visconti, 1957), I soliti ignoti (Monicelli, 1959): questi sono solo alcuni dei film in programma per Cine50, dall’8 aprile al 22 maggio presso la Sala Cinema del Palazzo delle Esposizioni di Roma