link per l’acquisto online della versione e-book:
https://stores.streetlib.com/it/andrea-giostra/internet-haters-e-trolls
La Macina MagazineTestata giornalistica registrata presso il Tribunale di Roma, aut. n. 47/2015 |
link per l’acquisto online della versione e-book:
https://stores.streetlib.com/it/andrea-giostra/internet-haters-e-trolls
“The Bad Batch”
Recensione di Andrea Giostra
Presentato il 6 settembre 2016 in concorso alla 73ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, “The Bad Batch”, scritto e diretto da Ana Lily Amirpour, esce nelle sale cinematografiche il 23 giugno 2017 e, da poche settimane, distribuito dal portale Netflix.
Il film è la puntuale risposta della settima arte alla proposta di Donald Trump di creare l’invalicabile muro tra il Texas ed il Messico per proteggere gli Stati Uniti d’America dalla massiccia immigrazione clandestina de “The bad batch”, “la cattiva sfornata”, cioè gli indesiderabili uomini e donne messicani che – altrimenti – potrebbero “inquinare” la purezza del popolo americano.
“Viviamo tutti qui. Non eravamo persone abbastanza buone, abbastanza intelligenti, abbastanza giovani”.
Sono le parole che accolgono Arlen in “The Bad Batch”.
“Tutte le cose che hai fatto nella tua vita – dice The Dream (Keanu Reeves) alla protagonista Suki Waterhouse (Arlen) – ti hanno portato qui con me”.
“The Bad Batch” da esiliare oltre una poderosa rete metallica protetta a vista da militari del governo statunitense che apre le porte ad un deserto ammaliante nei colori e nel paesaggio; crudele e violento nelle popolazioni che lo abitano come sopravvissuti di un evento post-bellico che ricorda prepotentemente, tranne nella fotografia, “The Road” (2009) di John Hillcoat, tratto dal bellissimo omonimo post-apocalittico best seller di Cormac McCarthy pubblicato negli USA nel 2006; film con uno straordinario Viggo Mortensen (“Man” nel film di Hillcoat), che nel nostro film viene “sostituito” da un sempre impeccabile Jim Carrey nel ruolo di The Hermit.
Il genere è “romantic-drama-horror-thrille
Il cast di attori è stellare: Suki Waterhouse, Jason Momoa, Giovanni Ribisi, Jim Carrey, Keanu Reeves, ed altri ancora.
Gli ingredienti della sceneggiatura sono tantissimi, e non sempre la narrazione filmica riesce a farli emergere nella loro completezza lasciandoli come domande alle quali lo spettatore dovrebbe dare le sue risposte. Ed anche questo approccio, le domande incompiute, è interessante proprio perché non “confeziona” risposte scontate e prevedibili da far ingoiare allo spettatore.
Arlen (Suki Waterhouse) è una giovane e bellissima ragazza, abbandonata nel deserto del Texas, che delimita con una impenetrabile rete metallica protetta da soldati armati del governo, il confine tra la civiltà e l’orda. Viene catturata da una spietata banda di cannibali, guidati dal disegnatore Miami Man (Jason Momoa), che la tiene incatenata finché non riesce a fuggire per trovare rifugio nella più “civile” comunità di “The Dream”.
Titolo originale: “The Bad Batch”
Regia di Ana Lily Amirpour
Produzione Megan Ellison, Danny Gabai, Sina Sayyah
Trailer IT: https://youtu.be/OUqfP1S-9ok
IMDb: http://www.imdb.com/title/tt43
Andrea Giostra
https://andreagiostrafilm.blog
https://business.facebook.com/
https://www.facebook.com/andre
Codice Criminale
Recensione di Andrea Giostra
Uscito nelle sale cinematografiche italiane il 28 giugno 2017, il film di produzione britannica, diretto da Adam Smith con l’interessante sceneggiatura di Alastair Siddons, è un prodotto cinematografico bello e intelligente. La narrazione scorre fluida e mai banale. Intrigante e stimolante. I temi trattati sono difficili e pericolosi al contempo.
Il rischio di cadere nel banalismo e nel razzismo sociale, sono ad ogni angolo, ad ogni passo, in ogni fotogramma. Non succede mai. Questi temi vengono trattati con lucida e consapevole competenza, accompagnati da una recitazione magistrale, che penetrano nel cuore dello spettatore per poi trasferirsi nella sua mente che inizia a riflettere su quello che ha appena finito di vedere.
Il doppiaggio italiano non può certamente tenere conto dello slang inglese e dei dialetti locali utilizzati nella produzione originale, che caratterizzano il film come un prodotto nel quale il neo-realismo – se così possiamo chiamarlo prendendo in prestito un concetto assai italiano – è molto forte e ottimamente strutturato per donare allo spettatore inglese la consapevolezza del prelibato gusto delle differenze culturali e sociali tra etnie diverse e tra strati socio-culturali assai distanti tra loro.
Codice Criminale
Questa è già una prima grave pecca della distribuzione italiana che probabilmente avrebbe dovuto doppiare il film utilizzando qualcuno dei dialetti italiani che certamente non mancano. Far parlare a tutti i protagonisti del film un perfetto italiano, priva il nostro spettatore di sfumature sociali e culturali che nel film hanno fortissimi significati narrativi che generano una serie infinita di spontanei pregiudizi e di scontati preconcetti.
In sostanza, per comprendere il concetto, è come doppiare un attore italiano che impersona un rom di origine rumena con il perfetto italiano di Roberto Benigni. Non credo che una maestra italiana si sognerebbe mai di espellere il piccolo Roberto Benigni da una scuola privata perché non ha fatto bene i compiti e non parla bene l’italiano! Ebbene, nel film doppiato per l’Italia, tutto questo allo spettatore italiano è stato candidamente derubato!
E ancora. Il titolo originale del film è “Trespass Against Us”, tratto dalla seconda parte della frase del Padre Nostro “forgive us our trespasses as we forgive those who trespass against us”, “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Il titolo del film lo potremmo tradurre con “Li Rimettiamo ai Nostri Debitori”.
Ebbene, questo titolo è geniale e trasmette allo spettatore inglese un messaggio fortissimo e verissimo. Leggerlo prima di entrare nella sala cinematografica, “condiziona” la visione con delle aspettative magnificamente confermate nel finale della narrazione. Alastair Siddons e Adam Smith, artisti entrambi eccellenti, anche per questo elemento creano un’opera d’arte cinematografiche della quale componente lo spettatore italiano viene privato, derubato.
Codice Criminale
Non si comprende come mai la distribuzione italica, che in questi casi ci conferma il suo imprevedibile talento nell’imbrattare un’opera d’arte con uno schizzo di incompetenza, riesca quasi sempre a derubare lo spettatore italiano dei piaceri stilistici dei bravi artisti oltreconfine. In realtà, se volessimo raccontarlo con una metafora in linea con l’ardire dei distributori italiani, è come affidare loro il prezioso “The Hay Wain” del notissimo pittore britannico di fine ottocento John Constable, ed esporlo in una prestigiosa galleria italiana con la didascalia che recita: “Il carro di fieno” (1821) di Giovanni Poliziotto!
Il film racconta una molto verosimile storia di una famiglia nomade allargata dov’è il padre Colby (Brendan Gleeson) a fare da padre-padrone e a decidere con saggezza e con sottile furbizia le sorti di tutto il “branco”. Rubare e non rispettare le leggi dello Stato che li ospita – è noto a tutti, anche ai diabolici analfabeti dell’integrazione a tutti i costi di culture assai distanti da quelle occidentali-cristiane – è un valore da trasmettere da padre in figlio, da figlio in nipote.
Non sottomettersi alle leggi e alle autorità costituzionali è quello che rende veramente degno di rispetto, all’interno della loro comunità, un membro della tribù. Occorre fingere, se presi in flagranza di reato, mentire sempre e comunque, rinnegando apparentemente la propria cultura e dando la sensazione di rispettare la loro, quella degli ospitanti. È a questo punto che entra in scene un interessante elemento narrativo impersonato dal bravissimo furfante, pilota di auto e ladro delle stesse Chad (Michael Fassbender). È qui che si sviluppa la parte di racconto più interessante e più vera per lo spettatore che nella vita non vede quello che c’è da vedere, e non sente quello che c’è da sentire.
Ma questi messaggi è meglio non scriverli qui, ma lasciare al nostro lettore il libero arbitrio di comprenderli o non comprenderli guardando il film. Quello che possiamo scrivere è che il valore della famiglia, l’amore per la propria donna, lo sconfinato senso di protezione dei propri figli, varca i confini di tutte le differenze culturali e sociali, perché geneticamente viscerali in qualsiasi esser umano sano di mente.
Il finale ci fa comprendere perché gli autori abbiano scelto il titolo che in Italia è stato deturpato.
>>Commento di Piero Casoli: In coda alla puntuale ed ottima recensione di Andrea Giostra vorrei aggiungere un mio commento che, oltre a dimostrare ancora una volta la “democrazia culturale” che regna nel nostro giornale, può essere spunto di commenti altrettanto democratici:
Il film è in realtà il racconto dello scontro tra due generazioni differenti, tra il capofamiglia autoritario rispettoso delle tradizioni e il primogenito più moderno, orientato al futuro e fortemente legato alla sua famiglia.
La sceneggiatura presenta forse alcune lacune però magistralmente superate grazie alla ottima recitazione dei due protagonisti Gleeson e Fassbender.
Codice Criminale è un racconto “sbilanciato” che non raggiunge la perfetta ed equilibrata armonia tra l’azione e l’introspezione nei personaggi, così distanti tra loro, per conflitti generazionali.<<
Titolo originale “Trespass Against Us”; traduzione: “Li Rimettiamo ai Nostri Debitori”.
Regia di Adam Smith.
Sceneggiatura originale di Alastair Siddons.
Con Michael Fassbender, Brendan Gleeson, Sean Harris, Rory Kinnear, Lyndsey Marshal, George Smith, Kingsley Ben-Adir.
Trailer IT: https://www.youtube.com/watch?
Andrea Giostra
https://business.facebook.com/
https://www.facebook.com/andre
https://www.facebook.com/andre
Caterina Guttadauro La Brasca
“La Barriera Invisibile“, Editoriale Programma Ed., Treviso, 2016
Recensione di Andrea Giostra
«La più grande speranza di Diana è che Ilaria, leggendo questo libro, possa arrivare alla conclusione che quello che le unisce è molto di più di quello che le divide.»
È una storia di madri e di figlie, di amore ancestrale, materno e di risentimenti adolescenziali filiali, di amorevoli prepotenze genitoriali e di voraci costruzioni di giovani identità femminili, di sofferenze e di dolori, di rimorsi e di rimpianti, di ansie adulte e di desideri di libertà giovanili.
Storie uniche e irripetibili come tante tra madri e figlie. Storie di una madre visceralmente siciliana e di una figlia nata e cresciuta in continente, come si diceva in Sicilia in quel triste e incerto dopoguerra meridionale che fu quello voluto dalla politica repubblicana post-monarchica del referendum dei partigiani per cacciare dall’Italia i Savoia.
Una Sicilia ancora colma di tabù sul sesso femminile e sulle libertà della donna casalinga e madre non per scelta. Una storia vissuta in settentrione, ma impregnata di poderosi ricordi ed emozioni siciliane. Un fitto turbinio di pulsioni ed un intreccio di vite vissute, di vite da costruire che iniziano dalla Sicilia e germogliano vigorose in quello che fu il ducato di Modena e Reggio.
Nel romanzo di Caterina Guttadauro La Brasca scrive Diana della figlia Ilaria: «È stata una bambina serena, una ragazza desiderosa di conoscenza, una donna complessa con un vissuto doloroso, ma una donna che ha anche vinto il dolore e, ancor più, una donna che ha capito il valore e la positività della sofferenza.»
Senza saperlo, perché dovrà ancora costruirsi una buona cultura che sarà quella scientifica da adulta affermata e di successo, Ilaria ha percorso la saggia via segnata dal più grande degli scienziati del ventesimo secolo: «La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie.
Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e disagi, inibisce il proprio talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è l’incompetenza. Il più grande inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita ai propri problemi.»
Albert Einstein, “Il Mondo come Io lo Vedo”, 1934.
E qui inizia magnifico il racconto serrato di Caterina Guttadauro La Brasca, un narrare … alla figlia immaginata che anelante ascolta attenta … passionale, colorato, che produce profumi siciliani, che fa sentire il sole bruciare la pelle, che immerge il lettore in un clima tiepido d’inverno e sciroccoso d’estate.
Un confessare alla figlia amata sin dal concepimento che … «È così, io l’ho capito quando, dopo aver perso mio figlio, mi sono accorta di volerne subito un altro. Al momento del parto, alla domanda se volevo alleviare i dolori del travaglio, dissi no con convinzione per paura di nuocerti. Dopo averti vista, seppur stremata, ringraziai Dio per avermi dato una bimba bella e sana.» … era ben consapevole d’avere ricevuto un dono prezioso dopo un dolore straziante, prima di una malattia impietosa che per volere divino avrebbe perso la presa.
Un racconto, quello di Caterina Guttadauro La Brasca, che spesso ritorna in Sicilia, la terra dell’autrice, la sua isola, la sua giovinezza di donna che ha perso i suoi affetti più cari, dove il perdono ha trionfato: «Non possiamo essere dei buoni genitori se non siamo stati dei buoni figli. Tra i sentimenti umani quello del perdono è il più nobile perché ci libera l’anima, ci ridà il possesso di persone e cose perdute. Ci fa capire che, sbagliare si può e perdonare non è un atto di debolezza.»
Un’opera da leggere questa di Caterina Guttadauro La Brasca per chi volesse vivere letterariamente emozioni profonde e vere, di quelle verità emotive che ci fanno sentire uomini e donne della nostra cultura, della nostra storia, delle nostre più antiche tradizioni, quelle tradizioni e quella cultura che hanno forgiato la nostra anima di uomini e donne della sponda nord del Mediterraneo.
Link:
https://www.caterinaguttadaurolabrasca.com/
http://www.editorialeprogramma.it/?s=la+barriera+invisibile
http://www.editorialeprogramma.it/
Andrea Giostra
https://andreagiostrafilm.blogspot.it
https://business.facebook.com/AndreaGiostraFilm/
https://www.facebook.com/andrea.giostra.37
https://www.facebook.com/andrea.giostra.31
https://plus.google.com/u/0/114620232579950145227
https://www.youtube.com/channel/UCJvCBdZmn_o9bWQA1IuD0Pg
Walter Siti, “Resistere non serve a niente”
Recensione di Andrea Giostra
Vincitore del premio Strega 2013, il romanzo di Walter Siti non riesce mai a catturare il lettore con la sua narrazione. La storia è sì interessante e, per certi versi, nuova per il fatto di essere ambientata in Italia. La cronaca testimoniata e il romanzo narrato quasi mai riescono a fondersi per divenire convincenti e catturare il lettore che attende, fino alla fine, di sentire finalmente pulsare un battito d’emozione, di essere sfiorato da un accenno di pathos.
Nulla di tutto ciò.
Il romanzo sembra artisticamente costruito col solo obiettivo di partecipare e vincere un concorso letterario: ed in effetti questo risultato Walter Siti lo ha brillantemente raggiunto.
“Resistere non serve a niente” non passerà certo alla storia della letteratura italiana, come arditamente si sono affrettati di scrivere alcuni critici letterari della stampa nostrana.
Walter Siti descrive asetticamente tante verità della politica, del malaffare, delle oligarchie, dell’incontrastato potere economico delle organizzazioni criminali, della finanza e delle potenti multinazionali. Ma sono verità note ed arcinote alla cronaca finanziaria, politica e criminale che il cinema e la letteratura internazionale percorrono già da diversi lustri.
Walter Siti, “Resistere non serve a niente”
L’originalità, se c’è, si trova, a cercarla, come detto, nell’ambientazione italica.
La democrazia è morta per lasciare il suo posto ai grandi interessi economico-finanziari delle potenti oligarchie internazionali? Se è questo il messaggio che vuole lanciare Siti, bisognerebbe chiedersi, prima ancora, se la democrazia in Italia è mai nata.
Ma questa, chiaramente, è un’altra storia e meriterebbe un altro racconto, un altro romanzo.
In due parole, il romanzo è deludente e assolutamente commerciale, nell’accezione “usa e getta” di Latouche.
Da leggere solo per chi volesse rendersi conto di come va scritto un romanzo noioso e scontato dall’inizio alla fine; tranne che nella interessante narrazione dell’esperimento scientifico di “economica casalinga” realizzato con sette “scimmie cappuccine” da Keith Chen, docente di economia dell’Università di Yale.
Ma almeno questa “sorpresa” la lasciamo al lettore che arditamente volesse acquistare questo libro!
Aggiungiamo noi, in coda alla recensione di Andrea Giostra, che il romanzo poggia e fa leva sui più scontati personaggi classici di una storiografia di questo genere: ricchissimi finanzieri senza scrupoli, feste “hollywoodiane”, escort incredibilmente belle che sono allo stesso tempo carnefici e vittime del sistema, la brutale presenza di una delinquenza spietata ed assassina, assoluta mancanza dei basilari valori sociali.
Walter Siti, “Resistere non serve a niente” Edizioni Rizzoli, Milano, 2012