La Direttrice Enrica Palmieri e l’Accademia Nazionale di Danza
Intervista condotta da Catia Di Gaetano
Incontriamo, con grande piacere, la Dott.ssa Enrica Palmieri recentemente confermata nel ruolo di Direttrice dell’Accademia Nazionale di Danza per il triennio 2020/2022
E’ nostro desiderio sottolineare il rigoroso profilo professionale della Dott.ssa Palmieri che ci ha concesso l’intervista solo dopo l’esito delle votazioni proprio per evitare una possibile sovraesposizione mediatica.
Buongiorno Direttrice e le porgiamo le nostre congratulazioni.
Tracciamo un breve profilo artistico della Dott.ssa Maria Enrica Palmieri:
danzatrice, coreografa, docente, coordinatrice della scuola di coreografia dell’Accademia Nazionale di Danza e, da gennaio 2017, Direttrice dell’AND
La Dott.ssa Palmieri è anche membro componente del CNAM (Consiglio Nazionale per l’Alta Formazione Artistica e Musicale) del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
Ha partecipato a numerosi Festival e tourneè in Italia e all’estero per poi trasferirsi negli USA a New York City, a Portland (Oregon), a S. Francisco (California) rientrando in Italia per dedicarsi alla creazione di coreografie che sono rappresentate in quasi tutti i paesi europei ed anche in Iraq, Mali e Capo Verde.
E’ la rappresentante italiana alla XII edizione dell’International Course for Professional Choreographers & Composers a Guilford (GB).
Curatrice di numerose manifestazioni artistiche pone in evidenza il connubio della danza con le arti visive multimediali ed attua un percorso di integrazione delle tradizioni coreutiche delle Isole di Capoverde in un processo creativo di più ampio respiro e non racchiuso in una ristretta ottica di unica centralità nazionale.
Direttrice, questa rinnovata fiducia manifesta l’apprezzamento del lavoro da lei svolto nel precedente triennio e delle indicazioni contenute nel suo documento programmatico delle attività per il triennio 2020/2022; ci può dare un suo pensiero?
Ricordo che nel mio passato ho vissuto esperienze professionali e di vita anche in zone di guerra dove ho partecipato intensamente con azioni umanitarie, ho attraversato pericoli di ogni genere che mi hanno formato e fortificato nell’affrontare la realtà e le responsabilità, ritengo quindi di poter gestire anche l’Accademia Nazionale di Danza.
Le difficoltà indubbiamente ci sono però esiste sempre una soluzione che deve essere cercata, analizzata ed attuata per la migliore prosecuzione ed affermazione dell’AND; il tempo aiuta a derimere le nubi all’orizzonte e far cessare le azioni o gli atteggiamenti che ostacolano lo sviluppo che essa merita.
Direttrice, questo suo pensiero evidenzia una forza di carattere non comune perché superare questi momenti di riflessione con le proprie forze significa avere un carattere combattivo e che non si arrende; è certamente un atteggiamento positivo.
Spesso sono testarda e determinata, mi sono trovata in momenti molto difficili della vita, momenti che anche di notte non mi hanno consentito di dormire ed anche in questa realtà – inizialmente – ho percepito un senso di solitudine, non ho percepito la felicità e la condivisione dei programmi e del pericolo che incombeva sullo sviluppo futuro dell’Accademia; in tempo di guerra ci si unisce, ci si aggrega, qui ho invece avvertito la divisione. Per fare un paragone è come se avessi aperto la scatola di Aladino ma non è apparso il genio che ha aiutato a risolvere situazioni, anche stratificate nel tempo, le ha soltanto messe in luce.
E’ stato un allenamento emotivo e razionale, un alternarsi di paura e razionalità che induce quindi al ragionamento, che permette di creare i vari collegamenti tra fatti e situazioni, di capire dinamiche, di aver chiari alcuni contesti, di scoprire i vari perché, i quali non sono mai casuali; posso ben dire che si è trattato di un intenso allenamento.
Il primo anno è stato molto pesante poi l’ho colto come una ulteriore opportunità di crescita personale e collettiva. C’è una parola ricorrente nel mio programma di lavoro e che ho enfatizzato durante il mio discorso di presentazione quando ho parlato di Navigazione.
Durante un percorso si possono trovare dei porti, degli approdi ai quali si arriva perché spinti dalla tempesta, dal vento o da altri fenomeni ma proprio questi, che possono apparire situazioni negative, si tramutano in nuove opportunità, in nuove soluzioni.
L’Odissea, la Navigazione è un percorso non un arrivo.
Su questo ho riflettuto, non bisogna pensare solo in termini negativi alle difficoltà e agli incidenti di percorso poiché esistono anche le soluzioni; se io nel mio ruolo creo un approdo io creo – conseguentemente – nuove opportunità. Le difficoltà apparentemente rallentano il percorso ma questi “incidenti” consentono di accrescere e migliorare noi stessi e l’AND
Sono pronta ad affrontare anche queste situazioni inaspettate; tutta la mia direzione è stata una riflessione per elaborare un piano di interventi e di programmi che ci portano lontano, mi sono interfacciata con tanti personaggi ed istituzioni con cui mi sono trovata a lavorare e questi incontri e opportunità si possono replicare all’infinito.
Il nostro pianeta è meraviglioso ed in costante mutamento e leggendo tutti i punti contenuti nel programma si potrebbe erroneamente concludere che sia impossibile attuarli e che io desideri “apparire”. Io sono al servizio dei colleghi e degli studenti, non ho alcun atteggiamento agonistico, il mio ruolo è quello di creare nuove opportunità attraverso la realizzazione di progetti
NO, ogni indicazione o decisione è frutto di approfondita riflessione e non vale l’antico concetto che… un progetto vale l’altro.
Ogni progetto ha un significato ed un obiettivo ben preciso, il numero dei progetti non mi deve spaventare nè ci deve spaventare perché ogni progetto racchiude in se un seme che deve germogliare e far realizzare una nuova opportunità.
Questo ragionamento lo faccio anche nei miei confronti perché mi gratifica così come gratifica l’AND, il corpo docente e gli studenti che hanno sempre vissuto nell’ambiente familiare un po’ serviti e riveriti però poi, quando è il momento di prendere iniziative autonome, potrebbero cadere se non avessi creato per loro un percorso di crescita.
Non li devo far cadere, non è questa la mia funzione; io li devo sostenere e quindi il mio ruolo consiste nel creargli opportunità che possono realizzarsi in Italia o all’estero, su tutto il territorio, con i teatri, con i municipi con tutte le realtà.
La danza si può ben declinare all’interno di ogni realtà culturale. E’ chiaro che sarà loro compito proseguire e perseguire i loro obiettivi ma io non posso abbandonarli a se stessi.
Loro sono sostenuti nella formazione che comprende non solo la tecnica ma anche la conoscenza più in generale del mondo esterno all’Accademia Nazionale di Danza. Si troveranno ad affrontare tante battaglie ma questo è insito nella evoluzione del processo educativo. I progetti sono come il percorso formativo con i crediti. I progetti sono affini cioè sono una parte del percorso formativo educativo con i relativi crediti che sono necessari per la completa formazione del futuro Professionista.
Se vogliamo continuare su questo futuro la Danza è ora chiamata a fornire risposte di altro genere non solo quelle di abbellire esteticamente i vari programmi TV oppure di creare un prodotto fruibile in teatro se poi non contribuisce a risolvere problemi o tensioni sociali.
Abbiamo visto che con la danza si uniscono le persone, con la danza si possono scegliere tra i diversi linguaggio del corpo e, rispetto al linguaggio orale, benchè più universale e riconoscibile, è più facile con la danza creare solidarietà.
Quantunque il governo non abbia varato una politica di interventi strutturali per il settore danza io invece ho ricavato uno spazio ed un programma di opportunità da poter cogliere. Consideriamo, per esempio, che la danza è ecologica, non crea inquinamento, abbiamo in mano un’arte capace di adattarsi. La danza ha una sua missione che si adegua ai tempi che si stanno evolvendo, si plasma ai movimenti è in continuo divenire.
La danza ha la sua funzione.
A che scopo vivere, a che serve il tempo e le opportunità che la vita ci concede? Il trascorrere del tempo è un’opportunità perché ci permette di vedere cose che prima non si vedevano, l’arte della danza è stata sempre percepita come una professione di nicchia. L’arte è parte della cultura, l’arte è un prodotto umano, è un prodotto della cultura.
L’uomo ha bisogno della cultura per sopravvivere, in natura l’uomo è debole rispetto agli altri animali, la cultura e l’arte rappresentano invece la forza, sono la vita che necessita all’uomo.
La cultura nasce prima ancora della nascita della norma, del diritto; l’arte è la prima forma della cultura, è il primo atto creativo. Si può concettualmente assimilare alla cornice del famoso quadrato che se viene posizionato perpendicolarmente diventa una parete, se lo sposto in alto diventa un tetto, in pratica realizza una delimitazione del territorio.
L’arte è la vita.
L’essere umano deve essere abituato e facilitato ad apprendere l’arte e senza l’arte l’uomo non può vivere. L’uomo dovrebbe sempre avere la possibilità di coltivarla anche se poi si inserisce in un percorso lavorativo dove l’arte è esclusa ma dovrebbe sempre conservarne il Segreto.
L’arte è universale.
Direttrice, nel suo programma elettorale o di lavoro che aveva proposto al mondo dell’AND vi è il concetto della democrazia che coinvolge l’intera struttura e, in modo particolare, il concetto dell’internazionalizzazione. Ci può dare maggiori indicazioni?
Io la democrazia la intendo come concetto di RESPONSABILITA’. La democrazia potrebbe essere facilmente confusa con il concetto di populismo o anche per la capacità di saper creare un consenso. Voglio che le scuole, le strutture didattiche siano responsabili del progetto che deve legarsi alle finalità dell’Accademia, esse devono muoversi in direzione univoca e conforme alla funzione che esplicano. Nel mio caso il concetto di Responsabilità implica anche risvolti di tipo legale e penale connesse al mio ruolo.
Nel caso dei docenti la considero una responsabilità individuale, il ruolo del docente necessita di una forte deontologia professionale. Mi piace la trasparenza e la lealtà, mi piace vedere che gli studenti sanno, per esempio, orientarsi mediante indicazioni chiare senza che debbano vagare a chiedere e cercare. Allora che cosa significa comunicazione chiara? Questa chiarezza, anche nelle indicazioni, consente di trovare agevolmente ciò che è di personale interesse anche se si è un neofita; ci si rende conto che si è all’interno di un sistema, di conoscerlo, si sa dove andare, come muoversi e quindi non si rimane escluso. Se esiste un sistema verticale e centralizzato che non è user friendly, è difficoltosa la sua consultazione; il sito deve essere chiaro, trasparente e fornire ogni indicazione. Ogni struttura didattica ha corsi particolari con diverse finalità e non si può seguire tutto, bisogna saper scegliere. Quell’atto di scegliere è quello che ci contraddistingue, si deve effettuare una scelta consapevole, si deve portare avanti il proprio obiettivo con consapevolezza.
Direi che il suo programma di lavoro è stato compreso e sono state messe in atto le sue indicazioni.
Io non ho fatto promesse particolari a nessuno, tutti si sono responsabilizzati e tutti hanno afferrato le indicazioni fornite malgrado – inizialmente – ci siano state anche difficoltà di comunicazione tra me ed i colleghi i quali si sono trovati investiti di molte responsabilità. In alcuni momenti c’è stato anche qualche attrito su cui ho meditato.
Se i miei programmi, le mie azioni sono rapidi e dinamici non posso pretendere che siano seguiti da tutti però è anche vero che è meglio rischiare un attrito interno piuttosto che tornare a situazioni precedenti dove nessuno sceglieva, dove nessuno si responsabilizzava. Ci sono stati anche momenti dove mi sono sentita esclusa in quanto, nel mio ruolo di Direttore, dovevo fermare un piano artistico che magari non avevo avuto modo di condividere nella discussione con gli altri. Tuttavia ho preferito correre questo rischio piuttosto che tornare a “prima” dove c’era imposizione oppure consuetudine perché la consuetudine genera vizi; preferisco invece che ogni attività, ogni pratica sia ragionata, sia condivisa e ci sia la convinzione che quella pratica non è una semplice formalità ma è sostanza dell’azione.
La nostra fondatrice è stata una innovatrice, ha praticamente creato l’Accademia dal nulla, l’AND è nata come una costola della Regia Scuola di Arte Drammatica, ha fatto molto bene in quel periodo storico ma quella eredità non dobbiamo, non possiamo mantenerla immutata sino ai giorni nostri. Non possiamo soltanto continuare a gestire un’eredità e sopravvivere di rendita. Oggi dobbiamo ampliare il nostro sguardo oltre un corto raggio ma non esporsi a rischi finanziari, dobbiamo investire con cautela e lungimiranza.
Direttrice, in un suo punto del programma di lavoro lei accennava a un percorso più legato alle istituzioni, può ampliare questo punto?
Assolutamente SI, noi siamo unici ma non possiamo rimanere nella nostra unicità o solitudine La solitudine è una condanna a rimanere soli, noi dobbiamo invece interagire con istituzioni a noi affini e mi riferisco a Campobasso, Benevento, Roma parlando di Conservatori e Napoli, Ravenna e Torino come Accademie. Li ho inclusi nei miei progetti di collaborazione e devo dire che i colleghi delle altre istituzioni mi hanno supportato, ci siamo supportati, c’è stata una condivisione di progetti.
La Danza potrebbe rappresentare una Istituzione all’estero dove ho lavorato lungamente con molti compositori. Posso affermare che le creazioni più belle che hanno realizzato questi compositori per la danza le hanno realizzate grazie alla danza che gli ha creato una logica e soprattutto gli ha fatto scoprire delle tematiche a loro prima estranee; la danza gli ha permesso di fare ricerca e quelli che non si sono legati alla danza non ne hanno tratto vantaggio perché non si sono abbandonati alla danza, non sono stati contaminati dalla danza… sono rimasti “sospesi”.
Direttrice, l’internazionalizzazione è un concetto a cui lei tiene in modo particolare, questa internazionalizzazione può essere legata anche al supporto che fornisce la Cuomo Foundation?
Assolutamente SI
La Cuomo Foundation ha come slogan “L’arte dell’educazione è l’educazione del cuore”. E’ un assioma chiaro che non lascia dubbi circa la Mission che si è data. Ho avuto anche altri contatti con altre fondazioni private di grandissimo livello ma ho verificato che questa Fondazione sa fare le cose con stile, con qualità ed amore. Madame Cuomo mi assomiglia, è pragmatica ed anche lei lotta per raggiungere gli obiettivi. Ha il senso del bello e dell’arte, la capacità di perseguire i sogni come me e, come me, non intende far rimanere i sogni nel cassetto. Ho avuto l’opportunità di visitare il loro centro cardio pediatrico a Dakar mentre ero impegnata in un altro progetto che non vedeva la presenza della Cuomo Foundation e questo centro cardio pediatrico è stato realizzato a misura di bambino e a misura di mamma. Quando sono arrivata era in corso una sessione di musicoterapia per i bambini piccoli, per i più grandi e con le mamme. Possiede macchinari ad altissima tecnologia, un centro di ricerca all’avanguardia. La Cuomo Foundation è una organizzazione privata che fa investimenti, è attenta alla propria visibilità ma la sua missione è anche rivolta all’Arte. Madame Cuomo è sensibile alla crescita dei giovani ed infatti i suoi collaboratori sono prevalentemente giovani professionisti di grande qualità. Altrettanta sensibilità la rivolge alla crescita dei giovani artisti.
Si è interessata ai miei programmi di sviluppo dei giovani artisti per i quali voglio creare alleanze, creare opportunità. Al Premio Roma la giuria è costituita da coreografi, critici, da organizzatori di festival, proprio con l’intento non finalizzato solo a corrispondere premi in denaro ma – principalmente – offrire connessioni, legami che possano generare contatti e accordi ed avere una continuità futura.
Madame Cuomo ha sposato pienamente le finalità del progetto per far emergere le qualità dei giovani ma non necessariamente emergere significa essere “il primo in assoluto” però consente di cambiare la propria esistenza. Certamente un artista senza un pubblico a cui parlare rimane racchiuso in se stesso, non riesce ad esprimersi quindi il fatto di vivere il Premio Roma consente di trasmettere le proprie sensazioni; tutto ciò rientra nella Mission della Cuomo Foundation. Diciamo che Dio mi ha mandato le persone giuste al momento giusto. Anche Madame Cuomo ama le cose belle che racchiudono anche un valore filantropico e senso di umanità. Ci piace pensare all’umanità, abbiamo sogni che si devono realizzare, non siamo missionari quindi tutto quello che attiene i nostri specifici credo, ai nostri valori religiosi, sono messi da parte.
Madame Cuomo ha perfettamente compreso che la sua sponsorizzazione del Premio Roma, come possibilità offerta ai giovani, costituisce la realizzazione di alleanze e connessioni di alto profilo artistico.
Aggiungo che la Cuomo Foundation sarà con me al Padiglione Italia a Dubai perché il Padiglione Italia che presenterà il Premio Roma sarà incentrato sulla bellezza.
Direttrice è evidente che questa sua impostazione riguardo al futuro dell’Accademia naturalmente necessità di un corpo docenti e di una struttura alle spalle che condivida pienamente i programmi. Concorda su questa affermazione?
Ritengo sia assolutamente opportuno che non vengano creati ostacoli alla visione del futuro dell’AND, che non ci si opponga a questo tipo di esperienze. Indubbiamente non è semplice e ci sono detrattori, non tutti sono dalla mia parte.
Si può anche ignorare il consenso rispetto a questo tipo di difficoltà ma i programmi non sono una novità, sono una continuazione di quanto già programmato e svolto. Mi si può anche contrastare ma si deve prendere atto che l’Accademia vuole andare in questa direzione così come espresso dalla maggioranza la quale potrebbe eccepire il mio mancato rispetto dei programmi stabiliti; ho anche una responsabilità nei confronti della maggioranza.
Io sono tenuta a rispondere del mio programma elettorale, l’ho sempre seguito e ogni volta verificavo se mi stavo muovendo verso quella direzione stabilita.
Direttrice il suo programma di lavoro elettorale per il prossimo triennio va a confermare o integrare i famosi 7 punti contenuti nel precedente programma?
Migliorare SI: la comunicazione, l’ascolto ed ampliare il processo di internazionalizzazione Quest’anno abbiamo accordi con quattro paesi extraeuropei su cui dobbiamo lavorare per tre anni, adesso mi accingo a realizzare un altro progetto con altri tre partner europei. Se questi progetti saranno approvati avremo ben sette opportunità per l’Accademia Nazionale di Danza.
Ci sono tanti altri progetti con l’obiettivo “Europa” per i quali l’AND corre veloce nella internazionalizzazione. Sottolineo, come già detto, che è una prosecuzione di quanto già posto in essere, nessuna novità.
Direttrice, non c’è stato nulla di quei 7 punti che ha incontrato maggiori ostacoli al suo conseguimento?
Nessuno per me era sbagliato ma una cosa non sono riuscita ancora a concludere ma non perché non l’abbia voluta realizzare. Ci ho lavorato due anni e mezzo e molto probabilmente riusciamo a farcela; mi riferisco al decentramento dell’Accademia.
Pur lavorandoci intensamente mi è apparso poi chiaro che il MIUR non mi avrebbe concesso i necessari finanziamenti e quindi, non volendo agire sulla leva economica riguardante la retta degli studenti, ho condotto un altro tipo di politica e cioè sono stata inclusa all’interno di un vasto ed articolato progetto che – se riceve le approvazioni – è il preludio del decentramento. Con ciò intendo costituire corsi esterni all’Accademia, in altri qualificati siti; l’Accademia è unica e prestigiosa e noi dobbiamo rispondere alle aspettative e richieste di iscrizione che sono molto numerose. Vivere a Roma e frequentare l’AND impone un esborso economico a dir poco significativo. Per ottenere il decentramento perseguo una politica di alleanze e non di aggressività.
Ovviamente non è realizzabile in tempi brevi ma con il decentramento creiamo servizi e proposte per il territorio, mostriamo così di avere una visione lungimirante, l’Accademia Nazionale di Danza si apre verso l’esterno anziché rimanere confinata nella sua unicità.
Direttrice le vorremmo proporre una riflessione forse “politica” circa la mancanza di offerta formativa coreutica nelle scuole, quale è il suo pensiero?
L’Arte coreutica non è stata mai inserita nel processo culturale. Se io vado a leggere la storia dell’Italia è pur vero che la danza nasce in Italia ma non è stata mai inserita nel processo di crescita culturale; la cultura italiana – di fatto – non è legata alla danza. È una semplice questione numerica. Mi spiego: quanti danzatori hanno contato nel mondo del lavoro? Ben pochi. Nelle scuole si conducono processi di acculturazione, di identità. Se dovessi pensare a personaggi famosi penso a Verdi a Michelangelo a Leonardo, dico quindi che necessita sviluppare un processo culturale sin dalle elementari, che la danza possa essere inclusa ma non a scapito della matematica, dell’italiano o di altre attività utili proprio per diventare “persona”. La danza deve affiancarsi e con le stesse attenzioni che vengono rivolte ad altri tipi di attività. Lo sport è utile, lo sport crea spirito comune cosa invece che la danza non crea, lo può creare se utilizzata in un certo modo ma è molto individualistica, crea un lavoro sull’ individuo, sul proprio corpo. Il calcio, dove ognuno ha un ruolo definito, rappresenta il gioco di squadra. Quando si mette in scena un balletto abbiamo il primo ballerino e il corpo di ballo e si crea così la squadra dove il gruppo rappresenta la cornice ed il primo ballerino esegue la prestazione artistica eccellente. La danza non è soltanto una esplosione di energie, che comunque avviene, ma è una esaltazione dell’anima, da una lezione di danza si esce sfinite ma contente, la danza è un sentimento molto personale.
Tornando alla sua precedente domanda relativa alla offerta formativa coreutica nelle scuole aggiungo che la nostra cultura si fonda sullo scritto, non c’è nulla che non passi attraverso uno scritto che esso stesso è un linguaggio; la musica è scritta, tutto è codificato. Da ciò è facile intuire il perché in Africa la danza rappresenta la storia dell’uomo, della tribù. La storia della tribù è tramandata attraverso la danza, che non è fondata sullo scritto. Ci sono danze che vengono rappresentate ogni 70 anni e i danzatori indossano dei copricapo alti 4 mt. con i quali eseguono movimenti molto difficili. I movimenti dei danzatori esprimono valori spirituali o legami tra le comunità: matrimoni, accordi tra le tribù ecc. e dai movimenti ed intrecci dei danzatori ne scaturisce un presagio.
Nulla è scritto, la storia è tramandata per via orale, la danza è l’unico strumento, è un linguaggio comune, crea identità culturale.
Direttrice lei è chiamata ad altri impegni, cosa può dire a tutti coloro che “fanno danza”?
Di non dimenticare la propria libertà; la danza deve istruire alla libertà che non è una cosa dovuta. E’ la libertà di scelta ma con consapevolezza. Il messaggio più importante che io lancio è utilizzare pienamente questa libertà, farla divenire una sorta di guida quotidiana. Deve venire “da dentro”, la danza non è una finalità ma uno strumento che rende capace di affrontare le avversità con lealtà con rigore e con chiarezza.
Grazie Direttrice.
PH Federica Maria Bianchi tratte dal sito AND per finalità divulgative e non commerciali