Sopravvissuti: la mostra sull’Olocausto

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Il 27 gennaio si celebra la Giornata della Memoria, in ricordo delle vittime dell’Olocausto: in quel giorno del 1945 il campo di concentramento di Auschwitz (Polonia) fu liberato, mostrando al mondo l’orrore che si celava dietro i suoi cancelli. Ad Auschwitz trovarono la morte più di un milione di persone, soprattutto ebrei. Dobbiamo alle crude e difficili testimonianze dei sopravvissuti la consapevolezza di quanto accaduto soltanto 70 anni fa, storie di morte, di fame, di umiliazione, di sangue, di annientamento.

La Casa della Memoria e della Storia di Roma organizza, per l’occasione, una mostra fotografica intitolata Sopravvissuti. Ritratti, memorie, voci, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Dipartimento Attività Culturali e dall’Associazione Nazionale Ex Deportati nei campi nazisti, con il patrocinio dell’Unione Comunità Ebraiche Italiane; l’esposizione nasce da un progetto di Ocralab – Idee per comunicare di Cristina Ballerini.

Il progetto raccoglie 40 fotografie, alcune realizzate in occasione del XII congresso dell’ANED, svoltosi nel 2000 a Mauthausen: i protagonisti sono tutti sopravvissuti ai lager nazisti che Simone Gosso ha incontrato e intervistato tra il 1998 e il 2003.

«Fotografare ha significato provare a dare alle loro parole occhi, labbra, volti. Perché dietro a questi visi stanno tragedie individuali ma anche grandi percorsi. Dietro a questi volti si possono infatti scorgere più tracce: la storia collettiva della deportazione italiana, la vicenda personale di chi è stato deportato e la conoscenza diretta delle persone ritratte […] In queste immagini non v’è completezza ma solo il tentativo di aiutare a raccontare le vite di uomini e donne che devono la loro eccezionalità alla loro normalità, così come la speranza di continuare quanto iniziato con le loro testimonianze».

Quello del fotografo torinese è innanzitutto un viaggio nella memoria, confluito in una ricerca artistica il cui risultato è un accostamento di immagini e parole dei protagonisti di quella tragedia, sopravvissuti all’orrore più indicibile e inimmaginabile; le didascalie che accompagnano le foto sono tutte stralci delle interviste.

Sono le vittime a parlare, i sopravvissuti.

Come Filippo Todaro (Mauthausen):

Altri si scoraggiavano e quando avevano perso il morale era finito tutto eh. Quando perdevi il morale arrivederci, giorno dopo giorno, nel volgere di due o tre giorni, eri morto eh. Io ho visto centinaia e centinaia di miei compagni morire.

Oppure Mario Limentati (Mauthausen):

Il nostro lavoro durava 12 ore al giorno. Bisognava andare giù, mettersi sulle spalle un masso di granito, che pesava minimo 25 chili, poi si doveva percorrere la scalinata […] prendere il masso, metterlo in spalla e aspettare che si componesse la fila […] Lì morivano tutti i giorni duecento, duecentocinquanta persone perché bastava perdere l’equilibrio e si cadeva. Finito il nostro lavoro dovevamo prendere i cadaveri, metterceli sulle spalle e andare su. Li posavamo per terra e gli addetti ai forni crematori venivano a prenderli.

A queste si aggiungono, tra le altre, le sofferte testimonianze di Leone Sabatello, Roberto Castellani, Sergio Sarri, Sabatino Finzi. Quest’ultimo ricorda il terribile 16 ottobre del ’43:

Hanno bussato, erano le sette di mattina, si sono presentati i tedeschi, due o tre, con un foglio di carta in mano scritto in italiano: “Portate con voi tutto il mangiare che avete, gioie e soldi perché si deve andare via da qui, dobbiamo portarvi a lavorare in un altro luogo”. Non sospettavamo nemmeno lontanamente, sennò io sarei scappato quindici volte.

I 40 leggii con le foto sono disposti in un circolo apparentemente “disordinato”, in cui i singoli ritratti si armonizzano con quelli che li circondano. Sono tutti racconti e ritratti unici, perché appartengono a singoli individui, ognuno con una propria storia, un proprio sentire e un proprio volto, ma sono anche parte di un racconto ben più ampio e condiviso, fatto di similitudini.

Tutte le testimonianze sono persone, tutte le testimonianze sono vittime, sono sopravvissuti: ci sono uomini, donne, partigiani, antifascisti, ebrei, tutti finiti nei campi di concentramento e ridotti a un numero, a un codice tatuato sull’avambraccio.

Emergono il dolore, la rassegnazione, la tenacia, l’inconsapevolezza, la vulnerabilità, la violenza, la forza. Ma in fondo alle loro parole spicca la vita, quella dopo la Liberazione e con essa la preghiera di non dimenticare, di ricordare i morti e i sopravvissuti, non solo come numeri, ma come volti e storie.

Sopravvissuti: contatti, orari, modalità di ingresso

Sopravvissuti rientra nell’ambito della Settimana della Memoria della Casa della Memoria e della Storia, sita in Via di San Francesco di Sales, 5. La mostra è ad ingresso libero e gratuito, aperta dal lunedì al venerdì dalle 9.30 alle 20.00 fino al 27 gennaio 2017.

Lucio Dalla: mostra fotografica a Roma

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Lucio Dalla con la sua morte, giunta inaspettatamente l’1 marzo di ormai quattro anni fa, ha lasciato un indelebile vuoto all’interno della musica italia, all’interno di quella categoria cantautoriale di vecchia guardia fatta di nomi che sono più che altro pietre miliari: Francesco De Gregori, Franco Battiato, Francesco Guccini, per citarne alcuni. Lucio Dalla era quello eclettico, spirituale, l’innovatore, lo sperimentatore, una vita trascorsa tra note, parole e strumenti musicali.

A lui, alla sua figura di uomo ed artista, è dedicata la mostra monografica fotografica che resterà aperta presso il Complesso del Vittoriano – sala Zanardelli fino al 2 ottobre. La mostra, ad ingresso gratuito, fa parte della rassegna estiva “Vittoriano, appuntamenti d’arte e musica” ed è curata dal critico musicale e giornalista Ernesto Assante.

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Lucio Dalla, immagini e suoni” è interamente dedicata al cantautore bolognese che con lei sue poesie in musica ha toccato le corde dei nostri cuori: 22 album in studio e 9 dal vivo, numerosi riconoscimenti, collaborazioni illustri, oltre 600 sono le canzoni da lui scritte. Secondo la Siae, nella classifica delle dieci canzoni italiane più famose nel mondo la sua Caruso è al secondo posto, preceduta solo dall’immortale Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno.

 

Il viaggio fotografico in mostra al Vittoriano si snoda nell’arco di un trentennio: a raccontare la vita di Lucio Dalla ci sono gli scatti di grandi fotografi come Giovanni Canitano, Guido Harari, Fabio Lovino, Carlo Massarini, Fausto Ristori, Luciano Viti. Ad accompagnare il percorso espositivo, non poteva mancare una colonna sonora adeguata che deliziasse, oltre la vista, anche l’udito: la mostra, infatti, avrà in sottofondo un mix dei più grandi successi di Lucio Dalla.

Inoltre, è prevista la proiezione del film-documentario Senza Lucio, di Mario Sesti.

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Lucio al mare, che suona il suo amato clarinetto, che passeggia per le strade della sua Bologna, i suoi occhiali tondi e lo zuccotto: c’è spazio per molteplici sfaccettature, della sua figura di uomo e artista, ma anche di vera e propria icona.

Questa mostra permette di accendere una luce in più su questo grande musicista, ricordato con affetto dal pubblico e profondamente stimato dai colleghi; la sua immortale musica giorno dopo giorno continua a farci compagnia, ad essere fonte di ispirazione, a raccontare l’amore, l’amicizia, l’umanità, la felicità, i dolori, la vita quotidiana.

Proprio per questo sarebbe stato impossibile disgiungere l’omaggio fotografico da quello musicale, ed è bello poter passeggiare nella sala e osservare scorci di vita del cantautore avendo in sottofondo quelle note che ci hanno fatto emozionare negli anni: il modo più bello per ricordare Lucio Dalla, resta senza dubbio continuare a cantare le sue canzoni.

Prendi il cielo con le mani, vola più in alto degli aeroplani, non fermarti. Sono pochi gli anni forse sono solo giorni e stan finendo tutti in fretta e fila, non ce n’è uno che ritorni.  (Balla balla ballerino, Lucio Dalla)

Le foto di Domon Ken in mostra a Roma

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Domon  Ken. Il Maestro del realismo giapponese è stata inaugurata lo scorso 27 maggio all’Ara Pacis di Roma: si tratta di una mostra monografica dedicata al fotografo giapponese Domon Ken. L’esposizione resterà aperta fino al 18 settembre e raccoglie scatti a colori e in bianco e nero realizzati tra il 1920 e il 1970.

Nato a Sakata, nel nord del Giappone, Domon Ken (morto nel 1990, 81enne) è considerato uno dei massimi esponenti del realismo sociale, corrente di ispirazione marxista al quale aderì anche perché più gradita al governo e meno ostacolata.

L’evento è stato pensato in relazione alla celebrazione del 150° anniversario del primo Trattato di Amicizia e Commercio, firmato il 25 agosto 1866, tra Italia e Giappone, che ha sancito l’inizio dei rapporti diplomatici tra i due Paesi. A questa esposizione seguiranno, nel corso dell’anno, altre mostre, spettacoli teatrali e di danza, concerti, rassegne di lettura, eventi dedicati ad architettura, fumetto e sport, e tutto per approfondire il mondo tecnologico e culturale del Giappone.

Domon  Ken. Il Maestro del realismo giapponese è promossa da Roma Capitale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con il supporto del Bunkacho – Agenzia per gli Affari Culturali del Giappone e della Japan Foundation, organizzata da MondoMostre Skira con Zètema Progetto Cultura.

La professoressa Rossella Menegazzo (docente di Storia dell’Arte dell’Asia Orientale all’Università degli Studi di Milano) e il Maestro Takeshi Fujimori (direttore artistico del Ken Domon Museum of Photography di Sakata, museo che ha collaborato alla realizzazione dell’esposizione) ne sono i curatori.

Nikon, marchio da sempre legato a Domon Ken e Fujifilm, che ha curato la stampa delle foto, sono sponsor della mostra.

Nell’allestimento romano trovano posto circa 150 fotografie di soggetti diversi, dai primi scatti di impostazione giornalistica, di propaganda e promozione del Paese, a quelli di ambito sociale, vissuti quasi come dovere umanitario: Domon Ken era iscritto al partito comunista e il suo impegno sociale e politico si riversa inevitabilmente anche nella sua attività artistica, dunque con la sua fotografia realista voleva portare a galla le cicatrici profonde della società giapponese in frantumi.

Domon Ken ha raccontato il Giappone dagli anni Venti agli anni Settanta attraverso la sua fotografia: dall’ante guerra al dopoguerra, i suoi scatti raccontano un Paese affascinante, ma anche in crisi. La comunicazione visiva si carica di un ventaglio di sentimenti ampio e ricco: c’è spazio per la rabbia, per la gioia, per la tristezza, per la miseria, per l’abbandono, per la bellezza, per la rinascita.

Takeshi Fujimori, co-curatore della mostra nonché allievo di Domon Ken, ha ricordato il suo Maestro come un uomo di poche parole, non a caso soprannominato “il diavolo della fotografia“, perché non apriva mai bocca e carpirgli i più intimi pensieri era quasi impossibile. Altro soprannome che gli fu dato fu “Domodigliani“,  in riferimento alla sua passione per il pittore italiano.

Domon Ken: le sezioni della mostra

La sezione “Bambini” raccoglie scatti realizzati in diverse aree del Giappone, in particolare i quartieri bassi di Tokyo, Ginza, Shinbashi, Nagoya, Osaka e quelli della sua infanzia. Se questa scelta rimanda ad un sentimento nostalgico legato alla fanciullezza, di altra natura sono le foto con cui denunciò le condizioni di vita nei villaggi nelle zone minerarie di Chikuhō nell’isola di Kyūshū. La povertà, la miseria, l’abbandono, la denutrizione: questi mali vengono portati all’attenzione del mondo attraverso gli occhi dei bambini. Da parte del fotografo c’è sicuramente lo sguardo socialmente impegnato di una fotografia realista di stampo socialista.

Hiroshima”, raccolta di foto del 1958, dunque pubblicata a distanza di oltre dieci anni dallo sgancio dell’atomica sulla città, raccoglie foto molto forti: orribili mutilazioni, luoghi distrutti, ospedali affollati, malati in fin di vita, famiglie costrette a fare i conti con la morte dei loro cari. Quello che Domon Ken va a documentare è la realtà nella sua essenza più cruda e più drammaticamente concreta.

Ritratti” (Fūbō) è una sezione che raccoglie fotografie di personaggi pubblici giapponesi del mondo della scienza, dello spettacolo, della letteratura, dell’arte.

Infine un’altra consistente parte della mostra è “Pellegrinaggio ai Templi Antichi”, raccolta di immagini di sculture e architetture buddhiste: la prof.ssa Menegazzo ricorda come Domon avesse la capacità di restare ad osservare una statua anche per ore, fino allo stremo, prima di iniziare a fotografare.

Barbie the Icon in mostra al Vittoriano

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Barbie the Icon, dopo aver conquistato grandi e piccini a Milano, al MUDEC – Museo delle Culture, è ora approdata a Roma, presso il Complesso del Vittoriano – Ala Brasini: la mostra resterà aperta al pubblico fino al 30 ottobre.

Bocche spalancate, occhi sognanti, ricordi che affiorano e la testa che inevitabilmente vola indietro nel tempo, perché quello che la mostra propone non è solo un’esposizione di famosissime bambole, ma un vero e proprio percorso temporale, che inizia quasi sessant’anni fa e che si snocciola sino ai giorni nostri.

La grandezza di Barbie è proprio questa: quella di non essere semplicemente sopravvissuta nel tempo, ma di essersi allineata ad esso, ai suoi cambiamenti, alle sue trasformazioni, ai suoi eventi cardine, immergendosi nella grande storia al punto da arrivare a rappresentarla visivamente.

Attraverso i vari modelli di Barbie esposti si racconta la storia della donna, la storia del cinema, la storia della moda: il fatto che Barbie sia un’icona intramontabile da 56 anni a questa parte affonda le sue radici in questo suo essere stata interprete del tempo, specchio dell’identità globale, abbattendo barriere linguistiche, sociali, antropologiche.

Non è una semplice bambola, non un qualunque giocattolo: è un fenomeno estetico, culturale e sociologico, al punto da ispirare la realizzazione della mostra Barbie the Icon, curata da Massimiliano Capella e prodotta da Arthemisia Group e 24 Ore Cultura – Gruppo 24 Ore in collaborazione con Mattel.

Barbie ha fatto la sua comparsa il 9 marzo 1959 alla Toy Fair newyorkese: viene introdotta in Europa nel 1961 e in Italia nel 1964. Il suo successo è immediato.

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Dalla sua apparizione ad oggi Barbie ha rappresentato oltre 50 nazionalità diverse e svolto le più disparate professioni: l’abbiamo vista nei panni della maestra, della ballerina, del dottore, della veterinaria, della chef, della giornalista; è stata una rockstar, si è candidata alle elezioni presidenziali, è stata ambasciatrice Unicef, si è cimentata col nuoto, col tennis, col calcio, col pattinaggio.

E non è tutto: ha vestito i panni di Cleopatra, Elisabetta I, Grace Kelly, per citare solo tre delle icone culturali che ha incarnato. Inoltre traendo ispirazione da Hollywood e dallo star system, si è anche identificata in Liz Taylor, Marilyn Monroe e Audrey Hepburn, tra le tante. A lei sono stati dedicati abiti da parte dei più importanti stilisti e fashion designer del mondo: Versace, Moschino, Calvin Klein, Prada, Givenchy, Gucci, Dior, Lauboutin.

E proprio verso la moda c’è stata sempre una grande attenzione da parte dei suoi creatori: osservando l’esposizione è evidentissimo il cambiamento di stile nei decenni. Non va sottovalutato, in fondo, che il suo successo si lega da subito alla possibilità di comprare separatamente i diversi outfits creati ogni anno per il suo guardaroba, lasciando alle bambine la libertà di creare nuovi look sempre diversi.

Ed è inoltre interessante notare i molteplici legami con gli eventi dell’attualità, che sicuramente hanno contribuito a radicare Barbie nell’immaginario collettivo e ad accrescere l’affetto e la fiducia nei suoi confronti, quasi fosse un membro della famiglia.

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Barbie the Icon: struttura della mostra

  1. La prima sezione della mostra, Da Teenage Fashion Model Doll a Fashionista. Una bambola di moda, è appunto dedicata alla moda e raccoglie alcune delle creazioni sfoggiate da Barbie al passo con le tendenze del vari momenti storici e con le trasformazioni culturali della società occidentale. Alcune sono così attualizzate da rappresentare un vero e proprio campionario in miniatura dell’evoluzione della moda e degli stili nei decenni. Ad esempio, nel 1982 la Mattel propone Fashion Jeans Barbie, mettendo dunque al centro il primo capo d’abbigliamento globalizzato e unisex, osannato da star del calibro di Marlon Brando, Elvis, James Dean.
  2. La seconda sezione di Barbie the Icon concentra lo sguardo sulle oltre 150 professioni ricoperte da Barbie nei suoi 56 anni di vita: I Can Be. Barbie Careers esalta proprio quello che è sempre stato il motto di Barbie: You Can Be Anything. Negli anni ’60, ispirandosi alla prima astronauta donna, la russa Valentina Tereshkova, Barbie celebra il programma spaziale e dà alle sue giovani fan un messaggio importantissimo: non esiste carriera alla quale non possano aspirare.
  3. La terza sezione di Barbie the Icon, intitolata Barbie Family, presenta non solo la famiglia e gli amici di Barbie, ma anche il suo life style attraverso case, macchine e accessori vari. La grande famiglia di Barbie comprende cinque sorelle, un fratello, due cugine, lo storico fidanzato Ken, tanti amici e animali domestici.
  4. La quarta sezione dell’esposizione, Barbie in viaggio. Dolls of the World, rende onore all’attenzione verso le diverse culture del mondo: vi si trovano esposte le Barbie vestite con i costumi tradizionali di diversi Paesi, i modelli prodotti per celebrare importanti momenti della storia contemporanea, come la fine della Guerra Fredda o la caduta del Muro di Berlino (Barbie Freundschafts =Amicizia)
  5. La quinta e ultima sezione di Barbie the Icon, Barbie Divas, racconta come nel tempo Barbie si sia identificata e confrontata con molte delle eroine dei suoi tempi, donne leggendarie divenute icone. Tra il 1961 e il 1963, ad esempio, sulla scia del successo di Colazione da Tiffany, anche nel guardaroba di Barbie impazza il “black dress code” di Audrey Hepburn. Ma Barbie è stata anche Cleopatra, Elisabetta I, Marilyn Monroe.

Barbie the Icon: alcuni modelli esposti

Trovano spazio nella mostra Barbie the Icon ben 380 esemplari, a partire dalla celeberrima Barbie in costume da bagno zebrato del 1959, la prima versione di Teen Age Fashion Model, con tacchi alti neri, occhiali da sole, orecchini e coda di cavallo (modello Ponytail).

E ancora Barbie Superstar del 1977, creata da Joyce Clark ispirandosi all’attrice americana Farrah Fawcett, protagonista del serial televisivo Charlie’s Angels: la bambola indossa un luccicante abito in satin rosa shocking, con un boa di lamè. Poi ci sono le Barbie Grease Dolls, create per celebrare le Pink Ladies dell’omonimo musical: Barbie come Sandy (2004) e come Rizzo (2008).

C’è la Supersize Barbie Doll del 1977, le prime due Barbie etniche (Black Barbie e Hispanic Barbie), Barbie con l’outfit Evening Splendour (1959, Collectors edition), Barbie modello Bubblecut (1962) con il suo caschetto vaporoso, Barbie modello Malibu (1971), massima espressione dello stile californiano, fino ad arrivare alla serie Barbie Fashionista, con i modelli Curby-Tall-Petit (che riproducono le diverse corporature femminili) e le Wedding Dolls della coppia reale inglese William e Kate.

Barbie è sempre stata il simbolo della donna che può scegliere. Persino durante i suoi primi anni, Barbie non ha dovuto accontentarsi di essere semplicemente la ragazza di Ken o una accanita amante dello shopping. Barbie disponeva degli abiti per intraprendere una carriera da infermiera, assistente di volo o cantante di nightclub. Ritengo che le scelte rappresentate da Barbie siano state determinanti per il successo iniziale riscosso, e non solo tra quelle figlie che un giorno sarebbero diventate parte della prima ondata significativa di donne manager e professioniste, ma anche tra le loro madri.

Ruth Handler

Caravaggio Experience a Roma

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Non una semplice mostra, bensì una vera e propria esperienza sensoriale: ecco cos’è Caravaggio Experience. La vita e l’opera di Michelangelo Merisi vengono attraversate in un modo del tutto inedito, una fruizione che non passa solo attraverso la vista, ma anche attraverso l’olfatto e l’udito.

Caravaggio Experience resterà a disposizione degli spettatori fino al 3 luglio 2016,  presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma (Via Nazionale 194).

L’approccio del percorso espositivo è del tutto contemporaneo e si avvale di un sofisticato sistema di installazioni multi-proiezioni di grandi dimensioni (Infinity Dimensions Technology), unito a musiche originali di sottofondo (di Stefano Saletti) e fragranze olfattive persistenti nelle sale (realizzate da Officina Profumo – Farmaceutica di Santa Maria Novella).

Il piano sensoriale viene coinvolto a 360°: un’esperienza unica, fortemente immersiva e spettacolare. Il progetto oltre che di grande valenza estetica è forte anche sul piano del progetto culturale, che risulta ampio e capace di parlare a un pubblico ampio e differenziato, più e meno esperto. Ne viene fuori una grande possibilità di coinvolgimento e divulgazione, un approccio a metà tra il didattico e il tecnologico.

Sono 57 i capolavori dell’artista che scorrono su pannelli a cristalli liquidi LCOS alti 7-8 metri in modo continuo, nell’arco di circa 50 minuti, attraverso l’uso i 33 proiettori Canon XEED in alta definizione, con una risoluzione superiore al Full HD (1920×1200): le immagini risultato perfettamente nitide e cristalline, anche nei loro particolari infinitesimi, consentendo una visione nel dettaglio.

Cinque le aree tematiche di Caravaggio Experience: la luce, il naturalismo, la teatralità, la violenza, i luoghi più importanti della vita dell’artista, vissuto a Milano, Roma, Napoli, Malta, Venezia, Siracusa, Porto Ercole (dove morì nel 1610, a 39 anni).

La musica diversifica i vari ambiti, risultando molto più concitata nella sezione dedicata al tema della violenza, che si apre con la testa decapitata de La Medusa e forti tinte rosso sangue che si allargano lateralmente, sui pannelli e le pareti, ma anche a terra e verso l’alto. Le note fanno da accompagnamento, da cornice, amplificano le sensazioni e le emozioni.

Molta attenzione viene data ai primi piani, ai volti dei personaggi del Caravaggio, sempre curati e perfettamente delineati, espressivi e quasi dotati di vita propria. Il pittore organizzava dei veri e propri “set” per la realizzazione delle sue opere, per studiare alla perfezione le posizioni, i giochi di luce e ombre.

Proprio la luce è elemento fondamentale della produzione dell’artista, come si evince da capolavori come La vocazione di San Matteo o La crocifissione di San Pietro.

Il percorso termina con un pannello dedicato esclusivamente alla produzione del Merisi, su cui scorrono alcune delle sue opere principali: prendono vita nuovamente, tra gli altri, il Bacchino malato, Giuditta e Oloferne, la Madonna dei Pellegrini, Amor vincit omnia, Narciso

Dopo Roma Caravaggio Experience si sposterà a Napoli fino ai primi mesi del 2017, ma sono in corso di definizione altre date sia in Italia che all’estero.

Caravaggio experience: i biglietti

Intero € 12,50 – ridotto € 10,00
Sono previste agevolazioni, ingressi gratuiti, ingressi ridotti. Per info e visite guidate rivolgersi alla biglietteria del Palazzo delle Esposizioni.

Caravaggio experience: il racconto

https://www.youtube.com/watch?v=UQvZhhDs63w